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BRUNO PONTECORVO SCIENZIATO E COMUNISTA

Riportiamo l’articolo di  Luciano Maiani ( professore Emerito di fisica teorica presso l’Università la Sapienza di Roma,già Presidente dell’Istituto Nazionale di fisica Nucleare, direttore generale del CERN di Ginevra e presidente del CNR. Ha diretto al CERN le fasi cruciali della realizzazione del Large Hadron Collider),apparso sul Sole 24 Ore del 27 gennaio 2013, in occasione del centenario della nascita del grande scienziato Bruno Pontecorvo.

Il fisico che visse tre volte


Bruno Pontecorvo ha vissuto tre grandi epoche del Novecento: è stato uno dei ragazzi di via Panisperna a Roma, col fantastico gruppo di giovani fisici guidati da Enrico Fermi. Poi ha vissuto la Guerra Fredda oltre la <<cortina di ferro>>, diventando protagonista e testimone della fase in cui la scienza e la tecnologia dell’Unione Sovietica sembravano prevalere sul mondo occidentale. Infine ha vissuto la caduta del <<socialismo reale>>, la sparizione del sistema sovietico e della stessa Urss. Il tutto in ottantant’anni di vita (era nato il 22 agosto 1913 a Marina di Pisa e morto a Dubna nel settembre del 1993) attraversati con un carattere timido e <<gli occhi da buono, come diceva di lui sua madre. E lasciando intuizioni e scoperte che ne fanno uno dei grandi scienziati del XX secolo.
Pontecorvo arrivò giovanissimo a Roma, spinto dal fratello maggiore, Guido, che sarebbe poi diventato, in Inghilterra, un affermato biologo. La personalità di Fermi lo colpì profondamente, sarebbe stata la sua stella polare per tutta la vita, e fu arruolato nel gruppo (col nomignolo di “cucciolo” per via della sua giovane età) che avrebbe scoperto la radioattività indotta dai neutroni lenti, la porta verso lo sfruttamento dell’energia nucleare, a scopi pacifici e non.
La seconda personalità che segnò profondamente il giovane Bruno fu Frédéric Joliot-Curie, grande scienziato, premio Nobel insieme alla moglie Irene Curie per la scoperta della radioattività artificiale, ma anche uomo di sinistra profondamente impegnato, ministro nel Governo del Fronte Popolare di Leon Blum del 1936. A Parigi, a lavorare con Joliot-Curie, lo aveva mandato Fermi con una borsa del Ministero dell’Educazione nazionale, e lì si era fermato fino al 1940. Ma dalla Francia dovette fuggire, lui, ebreo, sotto l’incalzare dell’avanzata nazista: in bicicletta da Parigi a Tolosa, insieme al fratello minore Gillo, poi in treno attraverso la Spagna con la moglie e il primo figlio Gil, poi in piroscafo, nel 1940, da Lisbona a New York.
A Parigi, Bruno aveva intrapreso ricerche autonome sulla nascente fisica nucleare ed era entrato, con fervore, nell’impegno politico legandosi al Partito comunista italiano in esilio. Fisica e passione politica sono le due linee parallele che hanno segnato profondamente la vita di Pontecorvo. Non a caso, al secondo figlio, nato nel 1944, Bruno ha dato i nomi di Tito Niels, in onore di Josip Broz Tito, organizzatore della guerra di liberazione della Jugoslavia, e di Niels Bohr, il creatore della fisica atomica e una dei padri della meccanica quantistica.
Negli Stati Uniti, impiegato in una azienda per le ricerche petrolifere, Bruno inventa un metodo di prospezione basato sulla diffusione dei neutroni che è ancora in uso. Passato in Canada, a Montreal e poi a Chalk River, partecipa alla ideazione e costruzione del primo reattore ad uranio naturale moderato con acqua pesante, una filiera tutt’oggi impiegata in Canada. Ma è nell’incontro con la fisica delle particelle elementari che Pontecorvo dispiega il suo talento, una straordinaria capacità di porsi domande non convenzionali e una altrettanto straordinaria comprensione della fisica sperimentale che gli permette di immaginare gli esperimenti capaci di trovare le soluzioni. Miriam Mafai, che ha scritto un bel libro sulla sua vita (Il lungo freddo,Modadori), gli avrebbe chiesto molti anni dopo <<quale credi sia la tua maggiore qualità?>> e Bruno risponde, in tutta semplicità, <<come fisico, credo di aver avuto un po’ di fantasia>>.
Il primo contributo alla fisica delle particelle di Bruno riguardava la natura del cosiddetto mesotrone, una particella di massa intermedia tra quella dell’elettrone e quella del protone, scoperta da Carl Anderson nel 1936. L’opinione prevalente era che il mesotrone, oggi noto col nome di “muone”, fosse la particella predetta agli inizi degli anni Trenta dal fisico giapponese Hideki Yukawa come responsabile del legame dei protoni e neutroni dei nuclei atomici. Ma un esperimento effettuato da tre giovani fisici italiani, Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni, nella Roma città aperta del 1945, mostrò che il muone non poteva essere la particella di Yukawa per la scarsa probabilità con cui veniva assorbito dai nuclei atomici leggeri. Mentre il mondo scientifico si interrogava su dove e come si potesse trovare il vero mesone di Yukawa (fu scoperto nello stesso anno da Cesare Lattes, Giuseppe Occhialini e Cecil Powell), Pontecorvo si pose un’altra domanda: qual è la vera natura di questa particella?
A partire dal risultato dei tre italiani, Pontecorvo mostrò, nel 1947, che il muone (il”mu”) è un fratello pesante dell’elettrone e che, proprio come l’elettrone, è soggetto alle forze deboli scoperte da Enrico Fermi negli anni trenta e responsabili della disintegrazione di alcuni nuclei con emissione di un elettrone ed un neutrino. Anzi, i calcoli di Bruno indicavano che le forze deboli sono “universali”, hanno cioè la stessa intensità per particelle diverse come il “mu”, l’elettrone e il protone: proprio come avviene per l’intensità delle forze elettriche, che tra queste particelle sono uguali (a meno del segno) dato che esse hanno cariche elettriche uguali (a meno del segno).
Con il suo lavoro del 1947, Pontecorvo aveva aperto un campo di ricerca cui hanno contribuito i maggiori fisici contempo renai, inclusi Nicola Cabibbo e molti altri italiani, e che si sarebbe concluso solo ai nostri giorni con la scoperta del bosone di Higgs e l’unificazione delle forze deboli ed elettromagnetiche. Lo studio della particella “mu” portò Pontecorvo a interessarsi dei neutrini. Per molte persone sensate di quel tempo, occuparsi dei neutrini era un po’ come ragionare sul sesso degli angeli. Si pensava che una particella capace di attraversare spessori di materia di diversi anni luce, secondo un calcolo di Bethe, non sarebbe mai stata rivelata dai nostri apparati, e quindi non valeva la pena di porsi troppe domande sulla loro natura.
Ma Pontecorvo, a Chalk River, sapeva bene che un reattore nucleare, a partire dai neutroni che ne costituiscono il “motore”, produce una quantità di neutrini assolutamente straordinaria. Quindi, la probabilità che qualcuno di questi produca delle reazioni visibili non è poi così evanescente. In particolare, era la proposta di Pontecorvo, un neutrino avrebbe potuto trasformare un nucleo di Cloro in nucleo instabile di Argon. Estraendo chimicamente l’Argon dal Cloro e misurando il numero di atomi prodotti si sarebbe potuto risalire alle interazioni dei neutrini e perfino stabilire se si trattava di neutrini o di antineutrini. Pontecorvo ne parla con Wolfgang Pauli, che lo incoraggia, e con Fermi, che non si entusiasma pensando che ci vorranno decenni per mettere a punto il metodo. In ogni modo, Pontecorvo inizia ad organizzare il laboratorio in Canada per esplorare la fisica del neutrino.
Ma il problema dei neutrini si intreccia con una svolta drammatica nella sua vita, che ha sollevato per anni sospetti e controversie. Ritornato in Inghilterra nel 1948 per lavorare al centro atomico di Harwell e poi chiamato a coprire una cattedra di fisica all’università di Liverpool, Pontecorvo sparisce con moglie e figli nell’estate del 1950, per ricomparire, cinque anni dopo, nell’Unione Sovietica, come scienziato saldamente inserito nell’establishment scientifica del Paese. Le autorità occidentali e la comunità scientifica si interrogarono a lungo: spia atomica in fuga? Oppure scelta di campo motivata ideologicamente, completamento della sua traiettoria verso la sinistra iniziata negli anni di Parigi?
La dedizione di Pontecorvo alla fisica delle particelle, le testimonianze dei fisici che sono venuti a contatto con lui nell’Unione Sovietica e il suo spessore morale depongono decisamente a favore della seconda ipotesi. La lunga intervista che Pontecorvo stesso concede a Miriam Mafai dopo il suo ritorno in Italia del 1978, porta molti elementi convincenti in questa direzione. Né gli argomenti evocati nel libro di Simone Turchetti (Il caso Pontecorvo,Sironi editore, Milano) che indaga negli archivi dei servizi segreti, portano elementi concreti a favore della prima ipotesi. Tutto sommato, mi sembra ancora appropriato il giudizio che dava Fermi, che di segreti atomici se ne intendeva,<<la mia impressione è che il suo contributo ai lavori dei sovietici non verrà tanto dalla cose di cui può essere venuto a conoscenza in Canada o a Harwell, quanto piuttosto dalla sua competenza scientifica in genere>>.
Nell’Unione Sovietica di quegli anni stava partendo il programma della fisica nelle particelle, in competizione con gli Stati Uniti e l’Europa e la creazione di grandi installazioni scientifiche, in particolare i Laboratori di Dubna che Pontecorvo ha diretto per decenni. A questo programma, Pontecorvo ha sicuramente contribuito con il suo prestigio scientifico, le idee, la formazione di nuove leve. Proprio a Dubna, Pontecorvo produce dei risultati di importanza fondamentale nella fisica dei neutrini.
Il primo di questi riguarda la possibilità che il muone e l’elettrone siano associati a due diversi tipi di neutrini. Era una ipotesi che circolava tra i fisici teorici alla fine degli anni cinquanta: anche Raoul Gatto e Nicola Cabibbo in Italia l’avevano proposta. Pontecorvo , nel 1959, propose il metodo adatto a rivelare sperimentalmente questa differenza, basato su un acceleratore di protoni di alta intensità e alta energia allora in progetto a Dubna. Sarebbe stato possibile, con questa macchina, produrre dei fasci di neutrini che originano dalla disintegrazione dei mesoni di Yukawa, ciascun neutrino in associazione con un muone. Si doveva cercare di osservare gli elettroni o i muoni prodotti nell’interazione di questi neutrini con la materia: se il neutrino muonico è distinto da quello dell’elettrone, si sarebbero osservati solo muoni e non elettroni. La macchina a Dubna non si fece. L’esperimento fu eseguito nel 1962 a Brookhaven, Usa, da Leon Lederman, Mel Schwarz e Jack Steinberger che in effetti osservarono solo muoni e per questo conseguirono il Premio Nobel, nel 1988.
Il secondo settore cui Pontecorvo ha contribuito in modo determinante è quello dei neutrini provenienti dal Sole. Questi neutrini si producono nelle diverse reazioni di fusione dei nuclei leggeri da cui proviene l’energia emessa dalla nostra stella. L’esperimento per osservare i neutrini dal Sole fu eseguito da Raymond Davies negli Stati Uniti, in una miniera a grande profondità per ridurre i fondi dovuti ai raggi cosmici ed era basato proprio sul metodo di Pontecorvo, di osservare l’Argon prodotto nella reazione dei neutrini con il Cloro. L’esperimento rivelò i neutrini solari nel 1972, venticinque anni dopo l’intuizione di Pontecorvo, ma mise in evidenza un flusso di neutrini di molto inferiore a quanto atteso dalle reazioni di fusione del Sole, circa un terzo del previsto. Pontecorvo propose prontamente una spiegazione sorprendente. Nel viaggio dal Sole alla Terra, l’identità dei neutrini potrebbe oscillare tra neutrino elettronico –l’identità di partenza nelle reazioni di fusione del Sole – e l’identità muonica. I neutrini che si presentavano con l’identità muonica nel rivelatore di Davies e che avrebbero dovuto produrre un muone, per il quale tuttavia non avevano energia sufficiente, non potevano dar luogo ad una interazione.
Il risultato di Davies implicava dunque che due neutrini su tre partivano dal Sole come neutrini elettronici ma arrivavano sulla Terra come neutrini muonici. Era una spiegazione molto anticonvenzionale, tra l’altro implicava che i neutrini avessero una massa non nulla, un concetto al tempo piuttosto eretico, e fu accolta con molto scetticismo. Ma l’anomalia rivelata da Davies si è confermata, anomalie simili sono state trovate nel comportamento dei neutrini prodotti dai raggi cosmici nell’atmosfera e poi in quelli prodotti dagli acceleratori (il fascio di neutrini dal Cern al Gran Sasso).
L’ipotesi delle oscillazioni avanzate da Pontecorvo ha trovato una piena conferma e fa parte oggi del nostro bagaglio. Purtroppo, i dati decisivi, dal Laboratorio sotterraneo del Gran Sasso dell’Infn, con l’esperimento Gallex, e da quello in Canada, con il rivelatore Sno, sono arrivati troppo tardi per Pontecorvo. L’intero capitolo della massa e delle oscillazioni dei neutrini (divenuti nel frattempo di tre tipi con la scoperta della particella tau, il terzo fratello dell’elettrone) si svolgerà nei prossimi anni senza di lui.
Pontecorvo riapparve a Roma nel 1978, in occasione dei settant’anni di Edoardo Amaldi e fu accolto con grandissimo entusiasmo. Negli anni successivi, veniva regolarmente a visitare il Dipartimento di Fisica e aveva un ufficio vicino al mio. Parlava spesso di neutrini e di altre particelle, erano gli anni della scoperta di Rubbia dei bosoni intermedi e dell’entusiasmo per la teoria unificata elettrodebole, cui egli stesso aveva dato inizio. Ma parlavamo anche di tennis e di pesca subacquea, le altre passioni della sua vita. Qualche volta gli ho dato un passaggio in auto, il morbo di Parkinson cominciava a manifestarsi. Serbo ancora il ricordo di quelle conversazioni profonde e tranquille. L’Unione Sovietica era di molto cambiata dal 1950, molte speranze si erano rivelate solo illusioni, ma Bruno aveva mantenuto l’entusiasmo di sempre per la fisica, unito ad un riserbo tranquillo ma deciso sulle sue vicende personali.

 

 

 
   
     
         

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