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LA LOTTA PER LA NASCITA DEI PARTITI OPERAI EUROPEI (1848 1900) di Piero De Sanctis

La vera ragione per cui bisognerebbe studiare bene la Storia a scuola è che il metodo critico delle storia è il migliore antidoto alle tossine della propaganda e della menzogna.

Marc Bloch.

La prima fase dell’organizzazione del movimento operaio europeo inizia in quasi tutti i paesi dell’Europa dopo la rivoluzione di Parigi del febbraio 1848, quando essa trovò eco « nelle insurrezioni vittoriose di Vienna, Milano, Berlino; quando tutta l’Europa sino alla frontiera russa venne trascinata nel movimento; quando poi in giugno a Parigi venne combattuta la prima grande battaglia per il potere tra il proletariato e la borghesia».( Engels ). In Italia, dopo gli sviluppi rivoluzionari del ’48 e la Repubblica romana del ’49,seguì un periodo di reazione durante il quale cominciarono ad emergere due opposte correnti: da una parte si forma e si sviluppa il Partito moderato attraverso il quale il Piemonte eserciterà nel Risorgimento italiano una funzione dirigente e dominante; dall’altra parte mazziniani e democratici liberali di sinistra costituiranno il Partito d’Azione,il quale, secondo Gramsci « mancò addirittura di un programma concreto di governo. Esso, in sostanza, fu sempre, più che altro, un organismo di agitazione e propaganda al servizio dei moderati». Nel settembre del 1858 Giuseppe Mazzini pubblicò un manifesto sulla rivista Pensiero e Azione, molto criticato da Marx, che invece di analizzare le ragioni della sconfitta dei moti rivoluzionari del 1848-’49, « ancora si affanna a propagandare panacee per la cura della paralisi politica ». Così Marx lo apostrofò:« è sempre il vecchio somaro ».

Mazzini durante la sua vita fu sempre contro l’Associazione Internazionale degli Operai a partire dalla sua fondazione. Nel corso del primo congresso dell’Internazionale, svoltosi a Ginevra tra il 3 e l’8 settembre del 1866, durante il quale fu sancita l’importanza delle rivendicazioni economiche e dei sindacati, Mazzini complottò per la sua disgregazione. In questa occasione Marx definì Mazzini « un accanito nemico del libero pensiero e del socialismo ».

Se il congresso di Ginevra aveva avuto il grande merito di mettere in primo piano le risoluzioni sulle leggi per la protezione degli operai e sull’importanza delle associazioni sindacali, la conferenza di Londra, del settembre del 1871, mise all’ordine del giorno l’azione politica dell’Internazionale, cioè fornire alla lotta del movimento operaio il suo strumento fondamentale: il partito politico. Ma in Italia le indicazioni della conferenza di Londra raccolsero solo pareri negativi. Mazzini, al contrario, seguendo le sue teorie piccolo-borghesi, raggruppò a Roma, dal 1 al 6 novembre 1871, nel congresso Generale delle società operaie italiane, il blocco più arretrato dei lavoratori italiani. Gli altri, che non seguirono Mazzini, aderirono alle posizioni di Bakunin. Solo nel 1891 furono costituite le Camere del Lavoro di Milano, Piacenza e Torino. Il partito dei Lavoratori italiani nacque a Genova nel 1892. Successivamente, nel 1893, prese il nome di Partito Socialista dei Lavoratori e nel congresso di Parma del 1895 assunse il nome definitivo di Partito Socialista Italiano. Fino al ‘900 esso non si propose altri fini che di carattere democratico-borghese.

Dovranno passare molti anni prima che questi tumultuosi movimenti e organizzazioni assumessero un peso determinante nelle vicende politiche ed economiche dell’Europa. Ancora nel 1860 le personalità più ascoltate in Europa sono il francese Proudhon, il tedesco Lassalle e il russo Bakunin.

L’anarchico Proudhon era lontano dalla concezione marxista quanto il cielo dalla terra. Nella premessa a Miseria  della filosofia Marx, con molta arguzia, osserva: « In Francia [Proudhon] egli ha il diritto di essere un cattivo economista perché passa per essere un buon filosofo tedesco. In Germania ha il diritto di essere un cattivo filosofo perché passa per uno dei migliori economisti francesi ». In realtà egli è nel contempo un cattivo economista e un cattivo filosofo sia in Francia che in Germania. E’ un cattivo economista in quanto non ha compreso che le categorie economiche, di cui spesso parla acriticamente, sono soltanto espressioni astratte di rapporti reali e restano vere soltanto in quanto esistono questi rapporti. Egli cade negli stessi errori degli economisti borghesi che considerano queste categorie economiche come eterne e non come leggi storiche. E’ un cattivo filosofo in quanto è del parere che la soluzione dei problemi reali del suo tempo non consiste nell’azione pubblica delle masse lavoratrici, ma nelle elucubrazioni dialettiche della sua mente, nella forza motrice delle categorie. E’ del parere che per cambiare la vita pratica è sufficiente cambiare le categorie dalle quali seguirà necessariamente la trasformazione dell’ordine sociale esistente.

Alle storture e alla confusione che il proudhonismo ha provocato tra gli operai francesi e belgi occorre aggiungere quelle prodotte, dal carattere settario organizzativo di Bakunin, tra gli spagnoli e gli italiani. Non è senza significato che Bakunin abbia avuto tanta fortuna nel Mezzogiorno e in Romagna dove le condizioni reali del movimento operaio sono ancora scarsamente sviluppate e dove Bakunin trova terreno fertile, soprattutto tra avvocati, letterati, ciarlatani e ciondoloni di diversa foggia. Fu il costruttore, in Europa, di numerose società segrete l’ultima delle quali fu l’Alleanza della democrazia Socialista che molto influenzò Mazzini, Pisacane,ecc.. Dice Marx :«Il suo programma [di Bakunin] è un pasticcio in cui ha mescolato superficialmente cose arraffate a destra e a sinistra….Per Bakunin la dottrina ( il pasticciaccio che ha messo insieme mendicando da Proudhon, Saint-Simon,ecc.) è un fatto secondario, è soltanto un mezzo per la sua affermazione personale. Se come teorico è zero, come intrigante egli è nel suo elemento».

Il crescente sviluppo industriale e quello organizzativo dei movimenti operai nei vari paesi europei fece sentire la necessità di dar vita ad un organismo internazionale capace di coordinare l’azione e di definire una comune linea politica. Nacque così a Londra, per iniziativa di Marx, la prima Associazione Internazionale degli Operai la cui carta costitutiva fu redatta dallo stesso Marx il 28 settembre 1864. In verità nell’estate del 1847 ebbe luogo il congresso costitutivo della Lega dei comunisti, il cui scopo dichiarato era l’abbattimento della borghesia, il dominio del proletariato, l’abolizione della vecchia società fondata sugli antagonismi di classe, la fondazione di una nuova società senza classi e senza proprietà privata.

Perché il pensiero di Marx cominciasse a diffondersi per l’Europa occorrerà attendere gli anni successivi il 1871, allorché gli avvenimenti e lo sviluppo della Prima Internazionale e la presa del potere politico da parte del proletariato parigino, ruppero la cortina del silenzio innalzata dai vari governi europei sulle sue opere e sui suoi scritti.

In Inghilterra, nel giugno del 1881, uscì a Londra un libretto L’Inghilterra per tutti, di Hyndman Henry, nel quale veniva stilato il programma della Federazione socialdemocratica (Social-Democratic Federation SDF). Era formata da diverse associazioni radicali inglesi e scozzesi, parte di borghesia e parte di proletari con la prospettiva di formare il nucleo di una nuova internazionale. Il capitolo sul lavoro di detto programma era di fatto estratto dal Capitale, ma Hyndman non nominava mai né l’opera né il suo autore. Questa singolare maniera di procedere fu resa ancora più offensiva da Hyndeman con le scuse con cui cercava di giustificarsi di fronte a Marx: il suo nome era troppo discreditato, gli inglesi accettano malvolentieri consigli dagli estranei, e via dicendo. Allora Marx ruppe i rapporti con Hyndman e lo gratificò con l’appellativo di «imbecille».

In Inghilterra, dopo la violenta repressione del movimento cartista che aveva consumato tutte le sue energie nello sforzo di conquistare i diritti politici nel 1832, il movimento operaio si indirizzò, dietro le organizzazioni di lavoro (Trade Union), verso le rivendicazioni di carattere sindacale. Nel 1884 sorse la Fabian Society, una organizzazione riformista fondata da un gruppo di intellettuali, borghesi, scienziati, politici e scrittori trai quali emergeva Bernard Shaw. I fabiani si diedero questo nome dal condottiero romano Quinto Fabio Massimo detto il Temporeggiatore, famoso per la sua tattica di attesa tendente a schivare i combattimenti decisivi.

I fabiani negavano la necessità della lotta di classe del proletariato e della rivoluzione socialista ed affermavano che il passaggio dal capitalismo al socialismo era possibile soltanto attraverso piccole riforme, mediante una trasformazione graduale della società. I fabiani non nascondevano che il loro vero scopo era quello di sottrarre gli operai inglesi al marxismo. Lenin caratterizzò il fabianismo come «tendenza di opportunismo estremo».

L’ultimo decennio del XIX secolo se vede da una parte la perdita graduale dell’egemonia industriale inglese e una disoccupazione in continuo aumento, dall’altra vede l’apertura di un nuovo periodo di espansione coloniale della borghesia inglese. Il territorio dell’impero britannico si espanse dal 1884 al 1900 di 9 milioni e 600 mila kmq. Nel gennaio del 1893 sorse l’Independent Labour Party, diretto dal minatore J. Keir Hardie che ritenne il marxismo inadatto alle condizioni inglesi. La sua concezione era fondamentalmente fabiana e ben presto i fabiani si insediarono saldamente alla direzione del nuovo partito. L’indebolimento del movimento operaio inglese fu agevolato non solo dai superprofitti provenienti dalle colonie che permisero aumenti del salario reale e una diminuzione del prezzo delle merci di prima necessità a spese dell’inasprimento dello sfruttamento operaio delle colonie, ma soprattutto dalla sottovalutazione e indifferenza verso il pensiero teorico.

«I fabiani qui a Londra – scrive Engels a Sorge nella lettera del 18 gennaio 1893 – sono una banda di arrivisti, i quali però hanno abbastanza buon senso per comprendere che la rivoluzione è inevitabile; ma non sentendosi di affidare al solo rozzo proletariato  questo immenso lavoro, si sono degnati di mettersi alla loro testa. La paura della rivoluzione è il loro principio fondamentale. Essi sono degli “intellettuale” par exellence. Il loro socialismo è un socialismo municipale: il comune, e non la nazione, deve diventare almeno per i primi tempi il proletariato dei mezzi di produzione. Essi presentano questo loro socialismo come una conseguenza estrema, ma inevitabile, del liberalismo borghese. Di qui la loro tattica: non condurre una lotta inesorabile contro i liberali, trattandoli come avversari, ma spingerli a trarre conclusioni socialiste, ossia ingannarli, “impregnare il liberalismo  di socialismo, non contrapporre ai liberali candidati socialisti”». Ancora nelle elezioni del 1895 i capi sindacali delle Trade Union appoggiarono i liberali e contribuirono alla sconfitta  di tutti i 28 candidati dell’Independemt Labour Party.

In Germania nel 1869 venne fondato presso la città di Eisenach il Partito operaio socialdemocratico tedesco i cui membri vennero chiamati eisenachiani. Alla guida del nuovo partito furono eletti August Bebel e Wilhelm Liebknechtche che erano in continuo contatto con i fondatori del marxismo. Nel programma approvato a Eisenach era detto che il Partito operaio socialdemocratico tedesco si considerava « una sezione dell’Associazione internazionale degli Operai e ne condivideva le aspirazioni».

Grazie ai costanti consigli e alle critiche di Marx e Engels gli eisenachiani seguirono una politica rivoluzionaria più conseguente di quella dell’Associazione generale degli operai tedeschi fondata da Ferdinand Lassalle. In particolare, nelle questioni relative all’unificazione della Germania, gli eisenachiani sostenevano, come disse più tardi Lenin, « una via democratica e proletaria, lottando contro le benché minime concessioni allo spirito prussiano, bismarkiano e al nazionalismo».

L’unificazione della Germania diede una forte spinta al suo sviluppo capitalistico. Nel 1871 la Germania era un paese prevalentemente agricolo e la sua industria era appena agli inizi: nel 1890 la situazione era completamente mutata. Assieme al grande sviluppo della siderurgia e della metallurgia, si svilupparono rapidamente i nuovi settori dell’elettrotecnica e della chimica. La rete ferroviaria in tre decenni fu triplicata. Sorsero in fretta e in gran numero società per azioni a carattere soprattutto speculativo. Ma la sopraggiunta improvvisa crisi economica del 1873 , particolarmente acuta per lo sfrenato aggiotaggio speculativo praticato subito dopo l’unificazione, pose fine alla cosiddetta “febbre delle costruzioni”. Essa, assieme alle crisi del 1882 e del 1890, contribuì alla rapida concentrazione dell’industria germanica. Dice Engels nel suo scritto Il socialismo del signor Bismark :« ..la forma esteriore di aziende industriali era di fatto solo il pretesto per l’aggiotaggio più vergognoso». L’unificazione della Germania sotto l’egemonia prussiana rafforzò il militarismo, da tempo formatosi in Prussia, il suo spirito reazionario e le sue tradizioni aggressive a tutto il paese. Come notò Marx, l’unità della Germania, raggiunta nel 1871, fu solo una maschera per il dispotismo prussiano: « la Germania raggiunge la propria unità nella caserma prussiana».

Una grande importanza per la ripresa del movimento operaio in Germania ebbe l’esempio rivoluzionario della Comune di Parigi (1871) che aumentò le simpatie del proletariato tedesco per il socialismo. Dopo la caduta della Comune, il centro del movimento operaio europeo si trasferì dalla Francia alla Germania allora governata dagli junkers (i grandi latifondisti prussiani) e dai militaristi prussiani. Interprete degli interessi dei junkers fu il primo cancelliere dell’impero, Otto von Bismarck, che tenne questa carica per quasi 20 anni fino al 1890.

Nel 1875, sotto l’influenza dello sviluppo del movimento operaio e delle accentuate repressioni governative i due partiti, gli eisenachiani e i lassaliani, nonostante diversità di vedute su questioni importanti, si fusero al Congresso di Gotha, nel Partito socialista unificato della Germania. La formazione del nuovo partito politico divenne il punto di partenza di una nuova ripresa del movimento operaio e per la diffusione delle idee socialiste:  si sviluppò la diffusione della stampa operaia, sorsero nuovi sindacati e organizzazioni culturali del proletariato.

In questo periodo Marx e Engels compirono ogni sforzo per elevare il livello teorico del partito e per eliminare gli errori commessi durante il processo di unificazione. Grande importanza ebbe una serie di articoli di Engels contro Dühring apparsi sull’organo di partito Avanti, tra il 1877-’78. Approfittando dell’attentato  a Guglielmo I, la cui responsabilità fu addossata senza alcun fondamento alla socialdemocrazia, Bismark sciolse, nel giugno 1878, il Reichstag. Nel 19 ottobre dello stesso anno il nuovo Parlamento varò le leggi eccezionali contro i socialisti. Furono proibiti 45 organi di stampa, su  47, del partito socialdemocratico, furono chiuse 16 tipografie, furono cacciati dalla capitale molti politici socialisti, furono sciolti i sindacati, le organizzazioni culturali e le cooperative, furono vietate le assemblee operaie.

Nonostante i duri colpi subiti, il partito socialdemocratico non si arrese, anzi sviluppò ed estese i propri legami con le masse dei lavoratori diventando la vera avanguardia del proletariato tedesco. Su consiglio di Marx e Engels, i dirigenti del partito abbandonarono la tattica sterile, cosiddetta passiva, passando a quella attiva che prevedeva l’utilizzo del parlamento come tribuna di denuncia della politica antioperaia del governo, e l’utilizzo di tutte le possibilità legali e illegali. Famosi rimangono sia gli interventi parlamentari di denuncia di W. Liebknecht, che le denuncie di Marx e Engels contenute nella Lettera circolare del settembre 1879, indirizzata a Bebel, Liebknecht ed altri, contro gli opportunisti che invitavano alla pacificazione di classe e alla cessazione dell’attività illegale del partito. In essa è anche contenuta un’aspra critica di Marx e Engels contro Bernstein a proposito di un suo articolo dal titolo Sguardo retrospettivo al movimento socialista in Germania, pubblicato, nello stesso anno, dalla rivista Annuario delle scienze sociali, dal chiaro tenore revisionista e liberale. Questa lettera fu un documento di grande importanza per la riorganizzazione dell’attività di partito su basi rivoluzionarie. Nelle elezioni del 1884 la socialdemocrazia ottenne un grande successo. 

Nel settembre del 1879 apparve il primo numero dell’organo del partito socialdemocratico, Il socialdemocratico, che fu stampato e pubblicato all’estero, prima a Zurigo e poi a Londra, fino al 1890. Tra il 1879 e il 1880 fu redatto da G. Vollmar, e dal gennaio 1881 da E. Bernestein, influenzato, in quegli anni, da Engels. La direzione teorica di Engels assicurava l’indirizzo marxista del giornale. Dopo l’abrogazione delle leggi eccezionali, la pubblicazione del Il socialdemocratico fu sospesa, e l’Avanti diventò il nuovo organo centrale del partito. Nel contempo maturò anche la necessità di una revisione del programma della socialdemocrazia. La questione venne posta dallo stesso Engels, che  riteneva primo compito del partito liberare il programma da tutte le incrostazioni lassalliane divenute ormai un freno al suo ulteriore sviluppo.

Il nuovo programma venne di nuovo approvato nell’estate del 1891 al congresso di Erfurt e rappresentò un grande passo in avanti rispetto a quello di Gotha. Alla sua base fu posta la teoria marxista della fine inevitabile del modo di produzione capitalistico e della sua sostituzione con quello socialista. Ma il programma faceva notevoli concessioni all’opportunismo. Engels lo sottopose ad una critica particolareggiata nel suo libro Per la critica del progetto di programma del partito socialdemocratico. Lenin riteneva che l’omissione nel programma della tesi della dittatura del proletariato ne costituisse il difetto principale.

Tuttavia gli opportunisti continuarono la loro attività facendosi forti del fatto che la socialdemocrazia otteneva nelle elezioni grandi successi. Nel 1893 ottennero un milione e 800 mila voti, e nelle elezioni del 1898 ottennero due milioni e 200 mila voti. Da ciò i riformisti concludevano che la via pacifica, armonica al socialismo, era valida per la Germania. L’esponente di spicco del partito, il socialdemocratico bavarese Vollmar, chiese l’abbandono della tattica rivoluzionaria, esaltando il ruolo delle riforme attuate dal governo in collaborazione con la borghesia liberale. Ma la formulazione teorica dell’abbandono, da parte del partito socialdemocratico, delle tesi marxiste, già accettate al congresso di Erfurt, venne da una serie di articoli dal titolo Problemi del socialismo, scritti da Eduard Bernstein e pubblicati, per volere di Kautsky, su Die Neue  Zeit(Tempi Nuovi), subito dopo la morte di Engels. In effetti tale mutamento di posizioni politiche di Bernstein, con Engels ancora vivo, era poco apparente nei primi 5 anni dell’ultimo decennio del XIX  secolo, mentre esso si fece sempre più rapido nei successivi 5 anni.

Passato alla storia come il padre del revisionismo, Bernstein – come altri socialdemocratici tedeschi- si era formato, come egli stesso confessò nel 1884 sul pensiero di Lassalle, di Albert Lange, di Eugen Dühring e di altri socialisti liberali eclettici. Fu, inoltre, fortemente influenzato sia dal fabianismo, che era intorno al 1890 in piena ascesa, che dalle dottrine di Sorel e di Croce.

Anche Karl Kautsky, sebbene in un primo momento avesse giustamente criticato le posizioni di Volmar e quelle di Bernstein, in fondo ne condivideva l’essenza, quando affermava nel 1893  la insostituibilità del  parlamento borghese, dello Stato borghese di Bismarck e proclamava la transizione indolore dal capitalismo al socialismo, attraverso le riforme di struttura. «Già oggi – diceva- incomincia  a farsi chiaro che un autentico regime parlamentare può essere tanto uno strumento della dittatura del proletariato quanto uno strumento della dittature della borghesia». Due anni prima, nel 1881, Marx conobbe Kautsky ricevendone una impressione tutt’altro che positiva. Di lui scrisse che, nonostante fosse «alla sua maniera, una persona a posto» era essenzialmente « una mediocrità. Ha vedute ristrette, è saccente, sputasentenze; in un certo modo è diligente, molto preso dalle statistiche, dalle quali, però, non ricava molto. Appartiene per natura, alla stirpe dei filistei». Per approfondire la sua figura di teorico e politico rimandiamo al grande libro di Lenin La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky del 1918.

In Francia, dopo la Comune di Parigi, mentre la reazione infieriva, le possibilità del movimento operaio ad organizzarsi erano molto limitate. Tuttavia, verso il 1875, nel paese ripresero nuovamente la loro attività i circoli socialisti. Nel 1876, mentre i tribunali militari attendevano ancora alla loro opera sanguinosa e i difensori della Comune venivano fucilati, si riuniva già il primo congresso operaio a Parigi, durante il quale furono eletti come massimi dirigenti Jules Guesde e Paul Lafargue (genero di Marx), che svilupparono un’ampia propaganda delle idee marxiste.

Distaccatosi da poco dall’anarchismo, Guesde non brillava per chiarezza teorica e non sapeva niente di Marx, nonostante che il Capitale fosse già stato pubblicato. Aveva però afferrato con grande decisione e chiarezza l’idea della proprietà collettiva della terra e dei mezzi di produzione, ed essendo un oratore di prim’ordine e un acuto polemista, seppe scuotere e infuocare l’anima degli operai francesi.

Al secondo congresso operaio, riunitosi nel febbraio 1878 a Lione, al quale parteciparono anche esponenti borghesi e riformisti, Guesde riuscì a raccogliere sotto la sua bandiera una minoranza di dodici delegati. Ma la tesi fondamentale del congresso della collettivizzazione dei mezzi di produzione e della terra, mise in allarme la borghesia industriale e il governo che iniziarono subito le persecuzioni contro il movimento operaio. Ma Guesde e i suoi compagni non si lasciarono intimidire, continuarono a lavorare e al terzo congresso operaio, che si riunì a Marsiglia nell’ottobre del 1879, ebbero la maggioranza dei voti. Ciò permise la fondazione del partito socialista il cui organo centrale fu di nuovo, dopo che era stato soppresso dal governo, L’Egalité i cui articoli teorici erano quasi sempre scritti da Paul Lafargue.

Nacque così nell’ottobre del 1879 la Federazione del Partito dei lavoratori socialisti di Francia (EPTSF), dalla fusione delle diverse tendenze del socialismo francese. Nella primavera del 1880, Guesde si recò a Londra, su iniziativa di Lafargue, per stendere insieme a Marx e Engels, un programma elettorale (che riproduciamo in appendice) per il nuovo partito. Si accordarono sul cosiddetto programma minimo che, dopo una breve introduzione che esponeva il fine comunista, nella sua parte economica consisteva solo di rivendicazioni immediate del movimento operaio. Non ci fu accordo solo sul punto 3 che prevedeva – come disse Marx – « la stupidaggine del salario minimo». Su tale questione Guesde fu irremovibile. In una lettera di Engels indirizzata alla figlia di Marx, Jenny, del 23 novembre 1880, si legge: « Rispetto alla questione della garanzia di un salario minimo…..Marx ha fatto di tutto per convincere Guesde a non includerla nel loro programma; spiegandogli che un provvedimento del genere, qualora venisse adottato, porterebbe al risultato per cui, in base alle leggi economiche, il minimo garantito diventerebbe un massimo».

Ritornando al programma elettorale composto da poco più di 700 parole, in una lettera indirizzata a Eduard Bernstein, Engels dice: «Un capolavoro di ragionamento stringente che, in poche frasi, chiarisce le cose alle masse, in modo  come raramente mi è capitato di vedere. Mi ha lasciato stupefatto anche per essere così conciso». Sebbene la EPTSF avesse approvato il programma elettorale nel congresso di Le Havre del 1880, la vita del partito fu contrassegnata dal conflitto interno tra le due principali correnti: quella possibilista, capeggiata da Paul Brousse e Benoît Malon, corrente piccolo-borghese riformistica, che distoglieva il proletariato dai metodi rivoluzionari di lotta. I possibilisti costituirono il Partito operaio rivoluzionario-sociale. Essi mettevano in secondo piano gli scopi socialisti del movimento operaio, proponevano di confinare la attività della classe operaia nei limiti del possibile; e quella guidata da Jules Guesde ( i cui seguaci furono chiamati guesdisti) più vicina alle idee di Marx e Engels. Tale corrente sosteneva una politica autonoma e indipendente del proletariato.

La lotta tra le due correnti portò, nel congresso di Saint-Etienne del 1882, ad una scissione del partito: i guesdisti conservarono la vecchia denominazione di Partito operaio di Francia e rimasero fedeli al programma di Le Havre. Nel 1901 i guesdisti costituirono il Partito Socialista di Francia; i possibilisti, insieme ad altri gruppi riformistici, nel 1902 costituirono il Partito socialista francese, con alla testa J. Jaurès.

«Il contrasto – scrisse Engels – nella lettera a Bebel del 28 ottobre 1882 era di principio: si doveva condurre la lotta come lotta di classe del proletariato contro la borghesia, oppure era ammissibile abbandonare per opportunismo il carattere di classe del movimento e il programma? L’unità è cosa magnifica, finché è possibile, ma ci sono cose più importanti dell’unità».

Rimane un’ultima cosa da sottolineare. Nella storia del socialismo moderno l’urto tra le due tendenze, la loro lotta in seno al socialismo, si sia trasformata da nazionale (1848-1890) in internazionale. All’origine le dispute tra i lassalliani e gli eisenachiani, tra i guesdisti e i possibilisti, tra i fabiani e i socialdemocratici ecc.,rimanevano dispute puramente nazionali, riflettevano particolarità puramente nazionali. Dopo il 1900 « i fabiani inglesi, i millerandiani francesi, i bernsteiniani tedeschi, sono tutti una sola famiglia, si lodano reciprocamente, imparano reciprocamente gli uni dagli altri e si armano insieme contro il marxismo». (Lenin).

Dunque la nascita del movimento  operaio e dei partiti operai avvenne in forme diverse nei diversi paesi industrialmente avanzati dell’Europa. « Di comune – dice Gramsci – vi fu in ogni luogo la spontanea ribellione del proletariato contro il capitalismo. Questa ribellione assunse però in ogni nazione una forma specifica, la quale era il riflesso e conseguenza delle particolari caratteristiche nazionali degli elementi che, provenendo dalla piccola borghesia e dai contadini, avevano contribuito a formare la grande massa del proletariato industriale. Il marxismo costituì l’elemento cosciente, scientifico, superiore al particolarismo delle varie tendenze di carattere e origine nazionale e condusse contro di esse una lotta nel campo teorico e nel campo della organizzazione ». Dopo la vittoria del marxismo queste tendenze risorsero dal suo stesso seno come revisionismo (sostenuto dalla fase dello sviluppo imperialistico del capitalismo),  le cui radici sono ancora vive nei nostri giorni.

 

Appendice

Programma elettorale  dei lavoratori socialisti

Jules Guesde  Paul Lafargue   Karl Marx

Considerando,

che l’emancipazione della classe produttiva è quella di tutti gli esseri umani senza distinzione di sesso e di razza;

che i produttori non potranno essere liberi finché non saranno in possesso dei mezzi di produzione (terra, fabbriche, navi, banche, crediti ee.);

che non vi sono che due forme sotto le quali i mezzi di produzione possano loro appartenere;

  1. La forma individuale, che non è mai esistita allo stato dei fatti in modo generalizzato e che è diminuita sempre più a causa del progresso industriale;
  2. La forma collettiva, i cui elementi materiali e intellettuali sono costituiti dallo sviluppo stesso della società capitalista.

Considerando,

che questa appropriazione collettiva non può avvenire se non tramite l’azione rivoluzionaria della classe produttiva – o proletariato – organizzata in un proprio partito politico;

che una simile organizzazione deve essere perseguita con tutti i mezzi di cui dispone il proletariato, compreso il suffragio universale, trasformato così da strumento di inganno, quale è stato fin qui, in strumento di emancipazione;

i lavoratori socialisti francesi, assegnandosi come obiettivo dei loro sforzi l’espropriazione politica ed economica della classe capitalista e il ritorno alla collettività di tutti i mezzi di produzione, hanno deciso, come strumento di organizzazione e di lotta, di partecipare alle elezioni con le seguenti immediate rivendicazioni:

A ) Programma politico:

  • Abolizione di tutte le leggi sulla stampa, sulle riunioni e sulle associazioni e soprattutto della legge contro l’associazione internazionale dei lavoratori. Soppressione del «libretto», vera schedatura della classe operaia, e di tutti gli articoli del Codice [napoleonico del1804] che sanciscono l’inferiorità dell’operaio di fronte al padrone e l’inferiorità della donna di fronte all’uomo.
  • Soppressione dei fondi per il culto e restituzione alla nazione dei «beni detti della manomorta, mobili e immobili, appartenenti agli ordini religiosi» (decreto della Comune [di Parigi] del 2 aprile 1871), compresi tutti gli annessi industriali e commerciali di tali ordini.
  • Soppressione del debito pubblico.
  • Abolizione degli eserciti permanenti e armamento generale del popolo.
  • Che la Comune sia padrona della propria amministrazione e abbia una sua polizia.

B) Programma economico:

  • Riposo di un giorno la settimana e divieto legalizzato per i datori di lavoro di far lavorare più di sei giorni su sette. Riduzione per legge della giornata lavorativa a otto ore per gli adulti. Divieto di lavoro nelle fabbriche private per i minori di14 anni; e riduzione della giornata di lavoro a sei ore per quelli compresi tra i 14 e i 18 anni.
  • Sorveglianza e assistenza per gli apprendisti affidata ai sindacati operai.
  • Salario minimo garantito, determinato, annualmente, sulla base dei prezzi correnti dei generi di prima necessità, da una commissione statistica operaia.
  • Divieto, fatto legge, per i padroni, di assumere operai stranieri a un salario inferiore a quello degli operai francesi.
  • Eguaglianza di salario per lo stesso lavoro ai lavoratori dei due sessi.
  • Istruzione scientifica e professionale di tutti i ragazzi, il cui mantenimento è a carico della società, rappresentata dallo Stato o dalla
  • Assistenza ai vecchi e agli invalidi del lavoro a carico della società.
  • Abolizione di qualsiasi ingerenza dei datori di lavoro nell’amministrazione dei fondi operai di mutuo soccorso, di previdenza, ecc.,i quali vanno restituiti alla gestione esclusiva degli operai stessi.
  • Responsabilità dei padroni in materia di incidenti, garantita da una cauzione che il datore di lavoro dovrà versare nelle casse dei fondi operai, proporzionata al numero di operai occupati e al livello di pericolosità presente in ogni singola fabbrica.
  • Intervento degli operai nella definizione dei regolamenti speciali delle diverse fabbriche; soppressione del diritto, usurpato dai padroni, di imporre penalità ai loro operai sotto forma di multe o di trattenute sui salari ( decreto della Comune del 27 aprile 1871).
  • Annullamento di tutti i contratti di privatizzazione della proprietà pubblica (banche, ferrovie, miniere ecc.), e funzionamento di tutte le fabbriche dello Stato affidato agli operai che in esse lavorano.
  • Abolizione di tutte le imposte indirette e trasformazione di tutte le imposte dirette in una imposta progressiva sui redditi superiori a 3000 franchi. Soppressione di eredità per linea collaterale e di qualsiasi eredità per linea diretta che superi i 20.000 franchi.

Parigi 30 giugno 1880

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