LA PAURA DELLA LIBERTÀ di Giacomo Matteotti*
I comunicati ufficiali ed ufficiosi del Ministero vantano i risultati delle elezioni amministrative. Votanti 90 per cento. Per i fascisti 100 per cento. Per gli altri partiti più o meno antinazionali, zero.
Dei sindacati operai, non se ne parla. Tutti i lavoratori sono con noi, gridano i fascisti, tutti i contadini. I socialisti ormai non esistono più.
Per le strade d’Italia, dove va il dittatore, è l’entusiasmo, la frenesia. Tutti sono per il fascismo e per il suo profeta. I fascisti possono rompersi le costole fra di loro, ma poi sono tutti obbedienti a Mussolini.
La Camera è ridotta a una larva. Il Senato è unanime per il Governo fascista. L’esercito è devoto. Il Re incantato; e quando si allontana da Roma, scambia telegrammi d’amore col Duce. Insomma tutta l’Italia è fascista; e tanti ve n’è del fascismo, che ormai deborda dai confini e si spande fino all’estero, sulle vie note alle aquile romane.
Ma allora – scusate- in mezzo a tanti consensi, in tale unanimità, perché non restituite la libertà? Se tutti sono contenti, se il socialismo è morto, se nessuno crede più alle poche pecore rognose ancora vaganti per l’Italia; perché tanto apparato di forze? Perché tante minacce? Perché centinaia di migliaia di militi nazionali (quarantasette milioni di lire come prima spesa)?
Se appena due persone si incontrano, o se appena uno apre gli occhi la mattina, non fanno che ringraziare Iddio, che ci ha dato la manna fascista, unica salvezza d’Italia ; perché tanti sospetti e discorsi? Perché minacciare i giornali? Perché vietare le riunioni? Perché perseguitare e bandire i socialisti? Non è un eccesso inutile di crudeltà? Un dispendio inutile della preziosa energia fascista?
Queste le considerazioni e le domande che vengono spontanee alle labbra, quando si leggono le apologie dei giornali ufficiosi, quando si sentono gli inni dei principi e dei triari , dei consoli e dei balilla, eroicamente moltiplicati per fortuna d’Italia.
E viene un dubbio, un dubbio atroce: – che essi abbiano paura della libertà – che il consenso generale non sia che una pura apparenza, di cui essi dubitano che subito scompaia, appena restituita a ciascun cittadino la libertà del pensiero , e la libertà del manifestarlo.
E’ la stessa paura che hanno avuto tutte le tirannie, tutte le dittature, tutti i governi assoluti. Ogni loro violenza, ne chiamava una successiva, in una catena interminabile, in cui il coraggio fisico di bastonare, di fucilare, di incarcerare, di perseguitare, significava soltanto la paura morale di una libera parola, e della libera volontà popolare.
Invano essi pretestano di temere soltanto il ritorno delle violenze bolsceviche. Il proletariato, appena fuori dal periodo dei veleni di guerra, comprese subito che nulla esso aveva da sperare dalla violenza e dalla dittatura, anche prima della dura esperienza delle violenze fasciste. Del resto anche i fascisti dicono che ormai il popolo non crede ai cattivi pastori.
E allora? Allora non è più la paura delle violenze ; è la paura della libertà! E’ la coscienza netta e precisa di tutto ciò che vi è di continuamente violento e illegittimo nel loro regime; è la visione della rivendicazione inevitabile dei diritti calpestati.
Eppure, si persuadano gli adoratori del bastone, il popolo è assai più generoso di quelli che essi non sieno. Esso comprende benissimo che la vendetta non serve a nulla, se non a eternare la catena delle violenze. Ma per ciò stesso richiede che cessi l’arbitrio, che si fissino per ogni cittadino i limiti del lecito e dell’illecito, che la giustizia diventi uguale per tutti.
Solo in un regime di libertà civile si possono acquetare tutte le paure. Solo la libertà può garantire all’Italia la realtà di un progresso civile.
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* “L’Idea Nuova”, 9 giugno 1923. Articolo inserito nel volume “L’Avvento del Fascismo”, Giacomo Matteotti, Pisa University Press. Volume curato da Stefano Caretti