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POPOLI E GOVERNI DEMOCRATICI UNITI di Maurizio Ceccio

Tra la riorganizzazione delle forze politiche di sinistra nel primo dopoguerra e la presa del potere da parte del fascismo, ci furono alcuni episodi che sancirono la violenta reazione della borghesia monopolista in Italia – e di lì a qualche tempo dopo anche in Europa – dopo gli anni del Biennio rosso, della repubblica di Weimar ed i tentativi rivoluzionari della classe operaia tedesca:

– l’ascesa delle forze politiche di destra, che basavano la lotta politica sul terrore e la violenza fisica perpetrata sulla popolazione inerme;

– la persecuzione e l’assassinio di militanti delle forze politiche che si opponevano al fascismo.

Questa violenta aggressione suscita non solo l’opposizione delle forze progressiste parlamentari, ma degli stessi governi o settori governativi più democratici.

E’ il primo dopoguerra e il Regno d’Italia, che siede tra i vincitori del conflitto mondiale, paga a caro prezzo la partecipazione alla guerra: le difficoltà economiche e i debiti di guerra, come naturale conseguenza di ogni conflitto armato, vengono fiscalmente scaricate sulle masse proletarie già in degrado, le quali vedono peggiorare ulteriormente le loro condizioni di vita.

La crisi di sistema che scaturisce in Italia da questo clima di incertezza politica (saranno sette i governi che si succederanno dal ’19 al ’22) sarà terreno fertile più che per le forze operaie e contadine rivoluzionare – che dal ’19 al ’20, sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre, insorgeranno contro la borghesia industriale con scioperi e occupazioni di fabbriche e campagne – per la reazione del monopolismo privato che, da un lato, aveva avuto già modo di saggiare le potenzialità rivoluzionarie della classe operaia e contadina e dall’altro era alla ricerca di referenti politiciche potessero salvarla dal grande capitalismo monopolista transnazionale che minacciava di fagocitarne risorse e mercati.

Reazione che consisterà nel appoggiare economicamente le forze politiche che avrebbero avuto come scopo la soppressione delle opposizioni al Capitale e la gestione oligarchica ed autoritaria del potere politico nazionale.

Il capitalismo industriale italiano sarà la culla del fascismo che inizierà la sua era il 30 ottobre 1922.

Con l’avvento al potere di Mussolini si inasprisce ancor più la persecuzione fisica degli oppositori antifascisti, iniziata nel ’19, fino alla presa totale del potere con l’instaurazione della dittatura fascista che coinciderà con il delitto Matteotti.

Il partito nazionale fascista il 6 aprile 1924 vince le elezioni con il 60% dei voti assicurandosi la maggioranza della Camera dei Deputati, conquistando 355 seggi grazie all’odiosa legge Acerbo.

Due mesi e quattro giorni dopo il deputato socialista Giacomo Matteotti viene rapito e ucciso dai fascisti per aver denunciato la corruttela fascista.

La storia ufficiale vuole che sia stato il discorso pronunciato dal socialista, il 30 maggio alla Camera, ad attirare l’ attenzioni delle squadraccie a guardia del regime, discorso in cui denunciava le violenze e le illegalità commesse dai fascisti per vincere le elezioni.

E’ altresì vero che al momento del sequestro, avvenuto il 10 Aprile, gli venne sottratta la borsa personale che conteneva le prove, che avrebbe esposto il giorno seguente alla Camera, sulla corruzione esercitata dalla compagnia petrolifera Sinclaire Oil per conto della sorella maggiore, Standard Oil, nei confronti di Mussolini.

Il governo fascista infatti, alcune settimane prima, aveva concesso alla Sinclaire Oil, sostenuta dai principali gruppi finanziari di Wall Street tra cui la banca di John Davison Rockefeller, già proprietario della Standard Oil, il monopolio per la ricerca e lo sfruttamento di tutti i giacimenti petroliferi presenti nel sottosuolo italiano con il Regio decreto n.677 del 4 maggio 1924 (che approva la Convenzione stipulata il 29 aprile 1924 fra il Ministero dell’economia nazionale e la Sinclair Exploration Company1) che prevedeva condizioni vantaggiosissime come l’esenzione dalle imposte e la durata novantennale delle concessioni.

La reazione delle opposizioni al delitto Matteotti sarà l’abbandono della Camera dei Deputati meglio nota come secessione dell’Aventino.

Su l’Unità del 15 giugno 1924 compare un articolo in prima pagina dal titolo L’atteggiamento delle opposizioni in cui si analizza quale significato e quale sviluppo può assumere l’atto compiuto da tutti i Gruppi di opposizione al fascismo con l’abbandono dell’aula parlamentare.

Sempre nello stesso, chiarito lo spirito unitario con cui il Partito comunista partecipa all’azione intrapresa calcolando tutta la portata e prevedendone tutti gli sbocchi possibili, l’articolo conclude evocando la naturale conseguenza della secessione aventiniana: Ma è necessario anche che il proletariato sia consapevole di ciò che avviene e di ciò che può avvenire per difendersi a tempo, per essere in grado di pesare sullo sviluppo degli avvenimenti, per riacquistare in essi tutte le sue forze e le sue funzioni. La iniziativa e l’azione del Gruppo comunista nel seno dello opposizioni è solo e non può essere che in funzione delle iniziative e delle capacità di azione del proletariato.

E’ necessario, secondo la previsione de Gruppo comunista, che l’azione delle forze parlamentari di opposizione al fascismo si leghino alle lotte delle masse lavoratrici.

Per questo motivo il 17 giugno 1924, sempre dalle colonne de l’Unità, il PCd’I chiede a gran voce la proclamazione dello sciopero generale ribadendo come la classe operaia sia l’unica forza in grado di dirigere una lotta unitaria contro il fascismo.

La richiesta è respinta dal gruppo delle opposizioni che temporeggerà in un apatico immobilismo, convinto che l’eco dell’assassinio di Matteotti avrebbe travolto rovinosamente il Governo Mussolini congiuntamente all’azione legale della magistratura e all’intervento dell’re. Nulla di tutto ciò accadrà, anzi il contrario.

Ancora dalle pagine de l’Unità, il 28 ottobre 1924, Gramsci torna ad insistere sulla proposta del Parlamento antifascista: Sostanzialmente che cosa chiedevano i comunisti? Il blocco delle Opposizioni è oggi un’alleanza di partiti su di un terreno negativo per la resistenza passiva al fasciamo. Si convochi invece, in contrapposto al Parlamento fascista, un Parlamento nel quale tutti i partiti – che lo volessero – quindi anche i comunisti – possano partecipare senza altri vincoli formali che il regolamento parlamentare… l’assemblea avrebbe veramente rappresentato il popolo italiano, avrebbe dovuto dire a questi, di volta in volta, che cosa occorresse fare per abbattere il fascismo, sarebbe diventato il centro della lotta.

Come storicamente noto, anche questo ennesimo appello, ad una resistenza attiva al fascismo, è totalmente respinta dal comitato delle opposizioni parlamentari che, in una riunione tenuta il giorno stesso, deciderà di lanciare un manifesto al Paese: «Il Comitato delle Opposizioni parlamentari, riunitosi questa sera a Montecitorio…ha deliberato di nominare una commissione con incarico di redigere un manifesto per spiegare al paese le ragioni della condotta politica degli oppositori. Tale manifesto sarà presentato nella riunione plenaria delle Opposizioni convocata per l’11 novembre».

Non sarà il caso a volere che, proprio l’11 novembre 1924, Gramsci pubblichi il suo articolo su L’anti Parlamento, che evidenzia ancora come l’attendismo speranzoso delle opposizioni borghesi e massimaliste stia impedendo che la protesta parlamentare antifascista si unisca alla resistenza diretta delle masse lavoratrici.

Gramsci conclude scrivendo: Verrà forse il giorno in cui ogni possibilità di vittoria su un terreno parlamentare e incruento apparirà inesistente anche ai più ciechi. Allora la proposta comunista verrà giudicata essere stata utile e necessaria; allora i partiti che hanno tradizioni e programmi rivoluzionari – purtroppo l’anima è ben diversa – penseranno di potersi rivolgere alle classi lavoratrici, penseranno che solamente queste possono e vogliono la lotta a fondo contro tutti i fascisti.

E allora l’anti Parlamento, la costituzione di un organismo cioè rappresentativo e direttivo di tutte le correnti antifasciste, facente appello all’azione diretta del popolo italiano, sarà acclamato. Ma forse sarà tardi. In ogni ora politica vi è un adatto mezzo di lotta. L’anti-Parlamento sarebbe oggi la parola d’ordine che le masse italiane accetterebbero: domani, aggravandosi la situazione, inasprendosi i rapporti di classe, il proletariato italiano – ridotto alla disperazione e alla fame – vorrà ben altro. Il Partito comunista adempie oggi e adempirà domani al suo compito di avanguardia.

Meno di due mesi dopo questo scritto di Gramsci, Mussolini pronuncia il noto discorso della Ceka in cui respinge l’accusa di essere il mandante dell’assassinio Matteotti, ma si assume la responsabilità morale e politica delle violenze e del clima di terrore di quei mesi.

Con questo atto il Governo Mussolini diviene feroce dittatura, che distruggerà i sindacati, abolirà il diritto di sciopero, concentrerà tutti i poteri dello Stato nelle proprie mani svuotando il Parlamento delle sue principali funzioni, abolirà la libertà di stampa, i partiti e le organizzazioni antifasciste e dichiarerà decaduti i deputati della Secessione dell’Aventino.

L’8 novembre 1926, Gramsci viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e con lui la proposta di trasformare l’Aventino in anti Parlamento fascista.

Gli anni seguenti saranno quelli del consolidamento del fascismo in Italia e la sua diffusione per quasi tutta l’Europa (Portogallo 1932, Germania 1933, Austria 1933, Norvegia 1933, Bulgaria 1934, Grecia 1936, Spagna 1939).

Forte fu la risposta della classe operaia e delle opposizioni antifasciste europee all’acutizzarsi dei regimi fascisti sopratutto in Germania e in Francia, ma con due risultati diversi:  mentre nella Germania pre-nazista il movimento operaio organizzato nel partito comunista tedesco non riuscì, nel luglio del ’32 ad ottenere la convocazione del sciopero generale a causa del rifiuto da parte del partito socialdemocratico tedesco dopo lo scioglimento del Parlamento da parte di von Papen, in Francia, il 6 febbraio del ’34, quando a Parigi oltre ventimila fascisti armati tentarono di occupare la Camera dei Deputati, la risposta delle masse fu immediata e circa venticinquemila lavoratori invasero le vie della capitale disperdendo i fascisti.

Il 12 febbraio venne organizzato uno sciopero contro il fascismo e i pericoli di guerra indetto dai sindacati comunista e socialdemocratico al quale aderirono il Partito socialista francese, il Partito comunista francese, movimenti contro la guerra e intellettuali e la partecipazione di cinque milioni di lavoratori dando dimostrazione di quanta forza era in grado di sviluppare tutta la sinistra francese.

Un anti Parlamento fascista che riuscì ad unire le lotte sociali dirette dalla classe operaia a quelle istituzionali dei partiti socialdemocratici e socialisti che si opposero scongiurando la presa del potere da parte del fascismo.2

Senza dubbio questo ed altri scioperi servirono da banco di prova per quella che fu l’esperienza concreta del Front Populaire che nelle elezioni del 1936 conquistò la maggioranza dei seggi alla Camera dei Deputati.3

Nonostante la vittoria delle sinistre in Francia, che resterà un episodio isolato in quell’Europa occidentale ormai in balia dei regimi totalitari, gli anni successivi sono quelli di preparazione al secondo conflitto mondiale.

Oggi il mondo, rispetto a 76 anni fa, é profondamente mutato così come mutati appaiono i rapporti di forza: il blocco sovietico è ormai crollato e il capitalismo monopolista è dilagato in molte ex repubbliche sovietiche.

Tuttavia tra la fine della prima decade del terzo millenno e l’inizio della seconda, nuovi e storici protagonisti si affermano sullo scacchiere mondiale.

Il contrappeso rappresentato dai BRICS a favore della costruzione di una società multipolare, libera dal giogo del monopolismo finanziario privato, è sintomo che c’è un ampio spazio di manovra che puó essere sfruttato coscientemente dalle forze produttive europee per dare nuovo slancio al conflitto di classe.

La fascistizzazione dell’Europa, con tutti i pericoli di guerra che interessano ancora il continente (basti pensare al golpe fascista avvenuto in Ucraina e al conseguente conflitto armato scoppiato nella primavera del 2014 tra i golpisti e le repubbliche popolari della regione del Donbass) è più concreta di quanto si possa pensare.

Sempre piú evidenti appaiono le contraddizioni in seno al monopolismo finanziario che speculando, approfittando della crisi economica, apre un nuovo ciclo di accumulazione a discapito delle masse proletarie che si impoveriscono sempre piú.

Storica è apparsa, in questo contesto, la lotta del popolo greco e del governo Tsipras contro l’oligarchia finanziaria di Ior, Rothschild e Rockefeller.

Una lotta, il cui esito è ormai noto, che non è riuscita ad oltrepassare i confini nazionali e che, probabilmente per questo, è risultata una vittoria di Pirro.

Questo, unito alla scarsa mobilitazione delle masse europee e delle forze politiche comuniste e progressiste, sopratutto in Germania, Italia, Francia, Austria, Benelux e Svizzera (dove esistono i più grandi complessi apicali della produzione e della ricerca), ha determinato la vittoria della Troika che invece ha saputo mobilitare le forze reazionarie di mezza Europa: non dimenticheremo la propaganda elettorale, attuata tramite i mezzi di informazione di massa, di molti capi di stato europei durante il periodo del referendum greco.

Ad ogni modo una lezione, a mio modesto avviso, va tratta: la vicenda greca conferma, senza ormai più ombra di dubbio, che la lotta di classe si sia irreversibilmente ed esplicitamente manifestata nella sua dimensione continentale!

Le lotte della Resistenza partigiana per la Libertà saranno valse a poco se gli attori più coscienti di questa battaglia non dimostreranno di voler spezzare il circolo vizioso all’interno del quale sembra essere nuovamente sprofondata la società italiana ed europea.

Dopo il ventennio fascista, un altro ventennio si appresta a chiudere il suo ciclo distruttivo caratterizzato dalla disintegrazione delle tante forze produttive che ancora sono, e sempre saranno, gli attori della società industriale contemporanea.

Forze produttive che in Italia, come in Europa, per troppo tempo hanno subito gli attacchi del monopolismo privato che, facendosi Stato, ha gestito e sta gestendo direttamente la politica e l’economia nazionale a favore degli interessi dei grandi gruppi finanziari della City e di Wall Street.

Le lotte di questi ultimi anni dei minatori spagnoli, degli operai dell’ ArcelorMittal, dell’ Helleniki Halibourgia, della FIAT, dell’ILVA e di tutte le fabbriche apicali delle filiere produttive strategiche sono la dimostrazione concreta della forza della classe operaia che tanto più risulterà vittoriosa quanto più riuscirà a legarsi alla lotta istituzionale nazionale ed europea.

Parallelamente è necessario che i nuclei gramsciani, avanguardia della classe operaia, all’interno dei partiti comunisti non si perdano nelle allucinazioni particolaristiche (problema dell’astensionismo elettorale, problema della costituzione di un partito “veramente” comunista ), ma di lavorare a creare le condizioni di massa in cui sia possibile risolvere tutti i problemi particolari come problemi dello sviluppo organico della rivoluzione comunista.4

Uno sforzo che dovrà coinvolgere certamente le forze produttive e i movimenti di massa e di classe di ogni nazione europea e che, ancora ribadiamo, non puó e non deve limitarsi soltanto ai confini nazionali.

È necessario realizzare un coordinamento internazionale che organizzi il conflitto di classe su scala continentale all’interno del quale l’avanguardia della classe operaia possa svolgere la sua funzione dirigente.

Parimenti è assolutamente prioritario che sorga L’anti Parlamento monopolista, cuore del Fronte democratico diretto dalla classe operaia europea, che trasformerà la guerra già cominciata5 dai monopolisti in lotta rivoluzionaria di emancipazione sociale e nazionale di massa per affermare le Costituzioni antifasciste, la democrazia, la pace e il socialismo in Europa e nel mondo.6

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  1. http://archivio.camera.it/patrimonio/archivio_della_camera_regia_1848_1943/are01o/documento/CD0000000536
  1. Piero De Sanctis, CONGRESSO INTERNAZIONALE CONTRO LA GUERRA E L’Anti Parlamento fascista, Gramsci n.22, pag. 10.
  1. Ilija Ehrenburg, corrispondente estero di Izvestia (al tempo dei fatti, organo ufficiale del Governo sovietico), all’indomani della manifestazione antifascista svoltasi ad una settimana di distanza dalla sommossa delle destre in Francia: Il 12 febbraio fu per la Francia una gran data. In apparenza non accadde niente, e il giorno dopo Parigi aveva il suo solito aspetto. La manifestazione fascista del 6 febbraio aveva rovesciato il governo, mentre questa volta tutti i ministri erano rimasti al loro posto, ma fu proprio il 12 febbraio a cambiare molte cose: non la composizione del governo, ma la stessa Francia. Non so come, cessarono di colpo le supposizioni su di un nuovo assalto dei fascisti e sui loro eventuali dirigenti. Tutti capirono che la forza era nelle mani del popolo. Il 12 febbraio vi fu la prova generale di quel Fronte Popolare che avrebbe scosso la Francia due anni più tardi.
  1. Antonio Gramsci, Due rivoluzioni, L’Ordine Nuovo, 3 luglio 1920, II, n. 8
  1. Togliatti scrisse sullo Stato Operaio nel luglio 1932: la guerra scoppierà da uno dei mille contrasti che minano la situazione mondiale. Uno Stato comincerà per disperazione, perché deve cominciare. Entrerà in guerra senza dichiararla, come si usa oggi. Farà la guerra. Il resto verrà da sé: il blocco contro l’Urss si formerà nella guerra stessa. La coagulazione degli interessi si realizzerà sotto la necessità della guerra iniziata, che comporterà di andare avanti, che esigerà la solidarietà capitalistica, che metterà in gioco gli interessi delle altre potenze, di tutte le potenze, di tutto il mondo capitalistico… Il proletariato deve combattere contro la guerra con la persuasione che la guerra è già iniziata. Essa è di fatto già cominciata. La sosta, forse di pochi mesi, forse di poche settimane, della marcia giapponese in Cina contro la Russia dei Soviet, non deve ingannare i lavoratori. La guerra è cominciata. (Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, Gli anni della clandestinità, Einaudi, 1969).
  1. Editoriale Gramsci n.22.

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