PER LA RIPRESA DEGLI STUDI SUL MATERIALISMO STORICO – DIALETTICO di Piero De Sanctis
Sembra una eternità. Ma sono trascorsi meno di cinquant’anni da quando Ludovico Geymonat e i suoi più stretti collaboratori pubblicarono, nel 1974, il prezioso libro Attualità del materialismo dialettico(Ed. Editori Riuniti). Quello fu l’ultimo serio tentativo di introdurre nella cultura italiana ed europea le grandi conquiste del pensiero marxista. Inizialmente c’era stato il grande lavoro del filosofo socialista Arturo Labriola e quello più recente e rilevante del marxista Antonio Gramsci,teso ad armare il proletariato italiano di un partito e di una teoria rivoluzionaria. Sarebbe molto utile soffermarsi ad analizzare le ragioni di questi apparenti fallimenti e del perché il grande matematico, filosofo e storico della scienza, Federico Enriques perse la sua battaglia per un rinnovamento culturale italiano contro il pensiero neoidealistico di Croce e Gentile. In Europa la Francia era pervasa dallo spiritualismo di H. Bergson e dal convenzionalismo di H. Poincaré, e in Germania non era ancora spento il fuoco dell’idealismo romantico.Solo in Russia, per opera di Lenin, si ebbe negli stessi anni una decisiva vittoria sul neoidealismo nella nuova veste di empiriocriticismo datale dal filosofo scienziato Mach.
Fatto si è che la cultura italiana nel primo mezzo secolo del Novecento era totalmente dominata da Croce e Gentile: il primo lottò con tutte le sue energie contro il concetto di materia, contro le scienze e contro il socialismo,dichiarandolo «morto» già ai primi del secolo XX; il secondo si mosse tra le nebbie più profonde del pensiero pensante, assumendolo come la sola effettiva realtà, dove tutto il reale si riduce allo sviluppo dialettico dell’Io, e nel quale non c’è posto per la scienza, ma solo per la ricerca di Dio.
Dopo aver dominato per vari decenni sulla cultura italiana, il neohegelismo cominciò a denotare i primi sintomi di crisi nel periodo che precedette immediatamente la seconda guerra mondiale, senza dubbio connessi alla mutata situazione generale europea e in particolare a quella italiana, le cui vecchie strutture si rivelano deboli e inadeguate di fronte alla grande crisi economica e sociale del 1929 e alle nuove istanze messe all’ordine del giorno dalla rivoluzione socialista dell’ottobre del 1917.« La filosofia idealistica – dice L. Geymonat – assunse, allora, un carattere via via più distaccato dalla realtà e si presentò infine come non altro che un espediente intellettualistico per evadere dai problemi concreti ».
Si diffuse sempre più la convinzione che era ormai indilazionabile un rinnovamento profondo dell’Italia non solo economico, ma anche culturale e filosofico. Le nuove generazioni di studiosi cominciarono a provare insofferenza nei riguardi di formule tanto generiche quanto astrattamente vuote: “tutto è spirito”, “tutto è atto”.« Tra i giovani – scrive Antonio Banfi – la reazione a questa torbida posizione di impotenza e di compromesso si manifestò soprattutto nel realismo illuministico di Gobetti e nel realismo storico di Gramsci. Il primo impegnò l’ideale stesso universalistico borghese a provarsi con la realtà; il secondo nella realtà storica stessa, marxisticamente interpretata, trovò la via di superamento della civiltà borghese e del suo ambiguo oscillare tra l’astrazione dell’ideale e la concretezza dell’interesse e, nell’azione politica del proletariato indicò la via per la soluzione concreta dei problemi di libertà, di democrazia, d’unità, d’indipendenza che la coscienza universalistica borghese aveva posto senza poter risolvere a causa della sua stessa natura».
Tra questi studiosi emerse, dunque, la figura di Antonio Gramsci quale rappresentante della vigorosa corrente marxista del materialismo storico e dialettico fondata da K. Marx e F. Engels. Gramsci riuscì a seguire, nonostante i lunghi anni trascorsi nelle carceri fasciste, dal 1926-37, anno della sua morte, i più significativi sviluppi della cultura italiana ed europea e contribuì efficacemente a liberarli dalle astrattezze metafisiche. I suoi Quaderni del carcere esercitarono e continuano ad esercitare, dopo la fine della seconda guerra mondiale, una larga influenza non solo tra i vari strati di intellettuali, ma soprattutto tra le nazioni che si sono messe sulla strada del socialismo.
Nel nuovo clima determinatosi dopo la guerra di Liberazione e la disfatta del fascismo, nel biennio 1945-47, si assiste ad una entusiasmante ventata di libertà e sul piano culturale ad un fatto nuovo, sconvolgente per tanti, della ricomparsa sulla scena politico-culturale italiana della filosofia del marxismo. La guerra partigiana aveva lasciato il segno. Il fatto nuovo, tuttavia, non è soltanto la presenza dei partiti antifascisti al potere,quanto la determinazione del partito comunista di conquistare l’egemonia (nel senso gramsciano) attraverso una politica culturale organizzata mediante molte riviste e iniziative culturali. Il biennio 1945-47 vede infatti una reale egemonia del partito comunista; un’ egemonia condivisa da molti intellettuali legati al partito e da tanti intellettuali provenienti dal Partito d’Azione dopo il fallimento del governo Parri.
Nella primavera del 1944, contemporaneamente alla svolta di Salerno, Togliatti fonda La Rinascita, rivista prima mensile e poi settimanale, che costituì un punto di riferimento politico e culturale per l’intera storia recente del nostro paese. Nel settembre del 1945 Vittorini fonda Il Politecnico, pubblicato dalla casa editrice Einaudi. Nel 1946 un gruppo di intellettuali toscani (Ranuccio Bianchi Bandinelli, Cesare Luporini, Delio Cantimori ed altri), dà vita ad un’altra rivista culturale Società, che rimarrà in vita fino al 1962 per essere sostituita poco dopo da Critica marxista. Sempre nel 1946 Antonio Banfi inaugura a Milano la seconda serie di Studi filosofici e tra il 1947- 50 pubblica il saggio Verità e umanità nel pensiero contemporaneo e, come esempio di applicazione del metodo del materialismo dialettico, scrive L’uomo copernicano. Proveniente dalla lotta partigiana, Ludovico Geymonat, nel 1945, scrive il saggio Studi per un nuovo razionalismo. Dedicato ai partigiani romagnoli, ai caduti e ai superstiti, nel 1945, il filosofo marxista Galvano della Volpe scrive il saggio La teoria marxista dell’emancipazione umana e, nell’anno successivo, il saggio su La libertà comunista.
A queste riviste di impegno marxista si devono aggiungere quelle, ugualmente di sinistra, legate all’area culturale del partito d’azione, particolarmente influente a Firenze e in Toscana: Il Ponte, fondata da Piero Calamandrei nell’aprile del 1945, e Belfagor, fondata nel 1946 da Luigi Russo e Adolfo Omodeo. Sul piano strettamente filosofico, appartiene all’iniziativa laica e di sinistra torinese la Rivista di filosofia,diretta da Noberto Bobbio e Nicola Abbagnano. Tutte queste riviste alimenteranno il dibattito e la ripresa di studi marxisti. A metà del 1947 appaiono, presso la casa editrice Einaudi, Lettere dal carcere. E’ un avvenimento culturale senza precedenti, per la vastità di consensi che provoca. Gramsci in pochi mesi diventa il «Gramsci di tutti». Dal 1948 al 1951 escono, sempre per la casa editrice Einaudi, i sei volumi del Quaderni del carcere.
Alla vitalità culturale che aveva caratterizzato questo periodo richiamandosi al marxismo, segue un totale abbandono, sebbene non mancassero importanti convegni su Gramsci svoltisi tra il 1953-57. Ma la situazione mondiale era completamente mutata: la rottura dell’alleanza antifascista dei vincitori della seconda guerra mondiale, la successiva guerra fredda, la cosiddetta destalinizzazione, l’attacco economico-politico-culturale dell’imperialismo americano contro i paesi socialisti, costituirono la base sulla quale nacquero e si svilupparono le diverse interpretazioni del marxismo. Le prime mistificazioni della teoria del marxismo hanno radici lontane risalenti a Marx e Engels ancora viventi. Segue il periodo della trasformazione dell’anima rivoluzionaria del marxismo in una piatta e vuota teoria della collaborazione di classe della socialdemocratica seconda Internazionale, denunciata da Lenin.
A partire dall’autunno 1973, i paesi capitalisti più industrialmente avanzati si trovarono coinvolti in quella che si rivelò come la più grande crisi dopo quella del 1929; una crisi che influì tanto sulle politiche economiche nazionali, quanto sulle sovrastrutture politiche, ideologiche, culturali e filosofiche. Il PIL per la prima volta, dopo molti anni, scese a valori negativi. Per bloccare l’avanzata delle lotte operaie, le richieste economiche e normative dei sindacati e i successi elettorali delle forze della sinistra, le forze padronali, in stretta collaborazione con settori delle Stato e con forze neofasciste, ricorsero alla politica stragista di massa, eufemisticamente definita La strategia della tensione: l’eccidio di piazza Fontana del dicembre 1969, la strage di Piazza della Loggia a Brescia nel 1974 e quella del treno Italicus dello stesso anno, la strage della stazione di Bologna dell’agosto 1980, ecc.. La classe padronale non si limitò alla politica del terrorismo, ma attuò anche la politica del massimo sfruttamento del lavoro operaio, la riduzione dei salari, l’allungamento della giornata lavorativa attraverso il lavoro nero, il decentramento produttivo. La classe operaia rispose con gli scioperi generali e con l’occupazione delle fabbriche.
Su questa crisi si innesta un nuovo dibattito filosofico. Si abbandona il terreno del marxismo che, secondo alcuni studiosi ha esaurito la spinta teorica, e si fa spazio all’emergere di tutta una serie di filosofi ognuno dei quali è possessore di un eterogeneo marxismo. Sono da ricordare Horkheimer, Adorno, Althusser, Marcuse, Benjamin, Bloch, ed altri di provenienza esistenzialistica, come Sartre. E’ il periodo del pensiero negativo e del pensiero debole. Le principali correnti di pensiero di questo periodo oscillano dallo spiritualismo al contingentismo, dal convenzionalismo al pragmatismo, dallo strutturalismo all’esistenzialismo. Caratteristica comune di tutti questi indirizzi è: 1) la negazione della realtà del mondo esterno indipendente dalla coscienza umana; 2) negazione del valore conoscitivo delle scienze e contrapposizione ai suoi metodi di deduzione ed esperimento di quelli dell’intuizione, del sentimento e della coscienza religiosa; 3) introspezione e indagine sulla coscienza quale unica realtà esistente al di fuori della quale non esiste niente e tramite la quale si risale a Dio e ad un principio divino. Una posizione a parte è occupata dal materialismo dialettico di Geymonat con la sua monumentale Storia del pensiero filosofico e scientifico e dallo storicismo-gramsciano.
Nessuna meraviglia, dunque, se questa ondata di pensiero reazionario travolse anche il più grande partito comunista europeo, il Pci di Enrico Berlinguer, che nel 1976 presentò agli italiani la grande iniziativa politico-culturale: il compromesso storico. Una strategia di grande respiro che mirava al superamento graduale del capitalismo mediante l’introduzione di elementi socialisti nell’economia e, nel contempo, invitava i lavoratori a fare i sacrifici per la salvezza politica e sociale dell’Italia. Il risultato di questo grande piano di riforme fu, e non poteva essere altrimenti, sacrifici da parte degli operai e arricchimento ulteriore dei grandi gruppi industriali – finanziari. (Vien da pensare che forse il segretario del Pci non avesse mai letto una pagina del Capitale, nel quale Marx dimostra scientificamente che la radice reale delle crisi periodiche del capitalismo è la contraddizione ineliminabile tra il lavoro sociale e l’appropriazione privata della ricchezza socialmente prodotta). Ciò, tuttavia, dimostra come un errore teorico di politica economica possa causare grandi disagi alla classe operaia. «Il riformismo e l’estremismo – dice Antonio Banfi – sono le due vie del revisionismo borghese».
«La genialità di Marx e di Engels consiste appunto nell’avere, durante un periodo molto lungo, per quasi mezzo secolo, sviluppato il materialismo, fatto progredire una tendenza fondamentale della filosofia, nel non essersi lasciati irretire nella ripetizione di questioni gnoseologiche già risolte, ma nell’aver avanzato coerentemente e mostrato come bisogna applicare quello stesso materialismo nel campo delle scienze sociali, respingendo implacabilmente, come rifiuti, tutti gli assurdi, tutti i pasticci pretenziosi, tutti gli innumerevoli tentativi di “scoprire” un “nuovo” indirizzo in filosofia, d’inventare una “nuova” tendenza, ecc… Il carattere puramente verbale di simili tentativi, il giuoco scolastico con i nuovi “ismi” filosofici, l’offuscamento dell’essenza delle questioni con artifici complicati, l’incapacità di comprendere la lotta delle due tendenze gnoseologiche fondamentali (materialismo e idealismo, ndr) e di darne una idea chiara: ecco ciò che Marx ed Engels hanno combattuto senza tregua nel corso di tutta la loro attività». (Lenin, Materialismo ed Empiriocritismo).
Ora occorre riprendere il cammino là dove l’aveva lasciato L. Geymonat nel 1974, quando parla dell’esigenza di una nuova cultura e riconosce l’insufficienza di quella attuale «che presenta dei difetti gravissimi i quali le impediscono di assolvere i compiti che ogni epoca ha sempre assegnato agli indirizzi culturali più rappresentativi dell’epoca stessa. E’ ovvio che queste deficienze riflettono in sé le profonde contraddizioni della società in cui viviamo, cosicché non ci si può illudere di attuare un autentico rinnovamento della cultura della nostra epoca senza superare coraggiosamente tali contraddizioni. Il franco riconoscimento della necessità di impegnarci direttamente nella trasformazione delle strutture della nostra società non ci esime, tuttavia, dal dovere di operare contemporaneamente anche nel campo sovrastrutturale, allo scopo di cogliere in forma precisa le più significative deficienze della cultura attuale e indicare alcuni caratteri che dovrebbero essere presenti in una cultura veramente nuova».
Questa nuova dimensione teoretica del sapere è stata introdotta sia dalla rivoluzione scientifica moderna, sia dal materialismo storico e dialettico come un «sapere per l’azione e nell’azione, che dall’azione nasce, in essa si feconda e si universalizza, da essa si solleva per spronarla e dirigerla e di nuovo garantirsi nella sua ricchezza». (K. Marx, Lettera a Ruge). E’ un sapere, dunque, che nasce e si sviluppa soprattutto nella lotta degli operai per la trasformazione delle strutture produttive e delle corrispondenti sovrastrutture e, come tale, non può che essere una concezione aperta, antidogmatica, che rifiuta le verità immodificabili, eterne ed assolute, che rifiuta la contrapposizione di principio tra l’essere e il pensiero, e le cui basi affondano nello sviluppo millenario delle scienze. In una intervista un giornalista del Sun di New York, del 6 settembre 1880, chiese a Marx all’improvviso: «Qual è l’ultima legge dell’essere?». Dopo un attimo di pausa, Marx rispose con tono profondo e solenne: «La lotta!».
Purtroppo non sono pochi i settori della cultura occidentale contemporanea nei quali solleva scandalo il presupposto fondamentale del materialismo, cioè l’affermazione secondo cui il mondo esiste indipendentemente dalla coscienza umana ed è conoscibile per mezzo delle scienze naturali. Così come solleva scandalo l’affermazione di Lenin: «che l’unica proprietà della materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori dalla nostra coscienza». In maniera ancora più sintetica possiamo dire che la filosofia del marxismo è il materialismo, e che in filosofia Marx e Engels furono di parte: dalla parte del proletariato.
Eppure proprio il metodo del materialismo dialettico, tanto denigrato dai critici del marxismo e perfino da alcuni autori che si autoproclamano marxisti, è in grado di fornirci nuovi punti di vista per l’elaborazione di una nuova concezione del mondo, sia naturale che umano, adeguata al livello delle conoscenze scientifiche e ai problemi più profondi che travagliano le nostre società capitalistiche fondate sul profitto privato e sulla proprietà privata dei mezzi di produzione.
Proprio di fronte a questi problemi il Centro Gramsci di Educazione fa appello alle nuove generazioni di operai, studiosi, intellettuali, uomini di cultura, perché si reagisca alla diffusione delle astratte, nebbiose fumesterie di moda per distrarre il più possibile i cittadini e i lavoratori tutti dai reali problemi sopra ricordati. Il Centro è altresì convinto che, ancora una volta, solo l’intervento delle masse organizzate possa decidere della vittoria e a ridare alla cultura un’autentica libertà. La nuova cultura sarà tale nella misura in cui acquisisce la consapevolezza – come dice Ludovico Geymonat – dei nessi dialettici che la legano all’intera società, e in particolare alle forze più vive e genuine che oggi ne determinano le rapide e radicali trasformazioni.
Teramo, luglio 2020
Come allievo di Ludovico, non posso non apprezzare questo intervento, nel quale si accenna allo sforzo, contrassegnato dal richiamo al materialismo dialettico, di fondare un nuovo percorso teorico di ricerca all’interno del marxismo. I temi di questo percorso devono essere aggiornati continuamente: oggi al centro dell’attenzione abbiamo d’un lato l’industria 4.0 e, dall’altro, il cambiamento climatico. Una sinistra capace di dare risposte serie dovrebbe saper intervenire incisivamente su questi temi. Sarei disponibile a partecipare a un gruppo di lavoro, qui a Roma, che ci lavorasse. Intanto saluto e ringrazio i compagni. Carlo Tarsitani
Condivido assolutamente questo appello, soprattutto nella parte che rimarca il ruolo, purtroppo tardivo ed isolato, di Geymonat nel tentare di difendere una concezione materialistica e dialettica che non sia una mera ripetizione dogmatica di fraseologie passate ma sia in grado di confrontarsi dialetticamente con la situazione attuale. Per far ciò è necessario, a mio modo di vedere, cercare un dialogo con le punte più avanzate del pensiero borghese, come ad esempio tutte le concezioni di realismo, come per esempio il realismo critico e il realismo speculativo. Inoltre, pur nell’eterodossia di certe sue affermazioni, ritengo che non sia privo di stimoli nemmeno il tentativo di Sebastiano Timpanaro, il quale a sua volta tentò di creare una concezione materialistica che sapesse essere sia nuova che autonoma da tutte le concezioni borghesi, postmoderne, strutturaliste e idealiste. Insomma, la situazione attualmente è critica, ma la difesa e il rinnovamento del materialismo dialettico sono indispensabili nella lotta per la vittoria del socialismo sul capitalismo.