IN RICORDO DEI CENTOCINQUANT’ANNI DELLA COMUNE DI PARIGI di Piero De Sanctis
Il 18 marzo del 1871 il popolo parigino insorgeva, spontaneamente, contro il governo Thiers, responsabile della disfatta militare contro la Germania che, scesa in campo affiancata dagli altri Stati tedeschi, spazzò a Sedan il 2 settembre 1870 l’intera armata francese composta da centomila uomini.
All’alba del 18 marzo Parigi fu svegliata da un colpo di tuono Vive la Commune! Il 26 marzo la Comune è eletta e il 28 marzo è proclamata. «I proletari di Parigi – diceva il Comitato Centrale della Guardia Nazionale nel manifesto del 18 marzo – in mezzo alla disfatta e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari. Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto rendersi padroni dei loro propri destini, impossessandosi del potere governativo».
La rivoluzione del 18 marzo fu un avvenimento senza precedenti. Per la prima volta nella storia dell’umanità (a partire dalla rivolta proletaria dei Ciompi del Trecento a Firenze soffocata nel sangue), il proletariato vittorioso parigino abbatte il dominio della borghesia, il dominio del Capitale. Dopo la fuga da Parigi del governo Thiers, delle sue truppe, della sua polizia e dei suoi funzionari, il popolo rimase padrone della situazione e il potere passò al proletariato. Fino ad allora il potere era stato nelle mani dei grandi proprietari terrieri, dei grandi industriali e dell’alta finanza.
Nonostante la sua breve durata (circa tre mesi), la sua industria ancora poco sviluppata, la Comune riuscì ad adottare misure di carattere democratico e popolare. Sostituì l’esercito permanente, strumento cieco e repressivo delle classi dominanti, con il popolo armato; sostituì gli organismi parlamentari borghesi con i consigli comunali eletti a suffragio universale, revocabili in qualsiasi momento e affidare loro allo stesso tempo funzioni legislative ed esecutive; proclamò la separazione della Chiesa dallo Stato; la Comune si preoccupò di spezzare la forza di repressione spirituale, il potere dei preti, disciogliendo ed espropriando tutte le chiese in quanto enti possidenti; i sacerdoti furono restituiti alla quiete della vita privata, per vivere delle elemosine dei fedeli, ad imitazione dei loro predecessori, gli apostoli; soppresse il bilancio dei Culti; diede all’istruzione pubblica un carattere puramente laico e gratuito; fu proibito il lavoro di notte, il sistema delle multe (vero furto legalizzato ai danni degli operai); promulgò il famoso decreto in virtù del quale tutte le officine, le fabbriche e gli opifici abbandonati o lasciati inattivi dai loro proprietari venivano rimessi ad associazioni operaie per la ripresa della produzione; decretò che lo stipendio di tutti i suoi funzionari non potesse sorpassare il salario normale degli operai; i magistrati e i giudici furono spogliati di quella sedicente indipendenza che non era servita ad altro che a mascherare la loro abietta soggezione a tutti i governi precedenti.
Tutte queste misure dimostrarono molto chiaramente che la Comune costituiva un pericolo mortale per il vecchio mondo fondato sull’asservimento e sullo sfruttamento. Perciò «tutta la borghesia francese, tutti i proprietari fondiari, tutti gli uomini della Borsa, tutti i fabbricanti, tutti i ladri grandi e piccoli, tutti gli sfruttatori – dice Lenin -, si unirono contro di essa. Questa coalizione borghese, sostenuta da Bismarck ( che liberò centomila prigionieri di guerra francesi per sottomettere Parigi rivoluzionaria ) riuscì a sollevare i contadini ignoranti e la piccola borghesia provinciale contro il proletariato di Parigi e a chiudere la metà di Parigi in un cerchio di ferro (l’altra metà era bloccata dall’armata tedesca)».
Solo gli operai restarono fino alla fine a difendere la Comune. Combatterono e morirono per la causa della emancipazione della classe operaia. Tutti gli altri raggruppamenti, a partire dagli alleati e dai repubblicani borghesi, si staccarono. La borghesia europea era soddisfatta: «Ora il socialismo è finito per molto tempo» diceva il sanguinario Thiers, dopo aver massacrato 30.000 parigini e altri 45.ooo arrestati condannati alla galera e a migliaia deportati. Ma come tutti i reazionari anche Thiers si sbagliava di grosso. Poco meno di dieci anni dopo lo schiacciamento della Comune, quando ancora molti dei suoi combattenti languivano nelle galere, il movimento operaio rinasceva in Francia e obbligava le classi dominanti a liberare tutti i detenuti politici.
Sei mesi prima della Comune, nel settembre 1870, Marx metteva chiaramente in guardia gli operai francesi contro un’insurrezione che sarebbe stata una follia. Ma una volta scoppiata la rivoluzione e gli operai pronti a muovere all’assalto del cielo, vi partecipò con tutto l’ardore e la passione che gli erano propri; voleva essere con loro, andava con loro alla scuola dell’esperienza, nella lotta, invece di dare loro lezioni burocratiche. Significative e profonde sono le sue osservazioni critiche sul movimento, senza nascondere agli operai gli errori commessi dalla Comune. D’altra parte la Comune si consumò – scrive Engels nella prefazione del 6 marzo 1895 alle Lotte di classe in Francia – nella infeconda controversia dei due partiti i blanquisti (maggioranza) e i proudhoniani (minoranza), ignari ambedue sul da farsi.
Ma che cosa ci ha insegnato l’esperienza della Comune? Così rispondono Marx ed Engels: «Dell’esercito, della polizia, della burocrazia, di questi strumenti di oppressione di cui tutti i governi si erano serviti fino allora, che Napoleone nel 1799 aveva creati e, che poi ogni nuovo governo aveva raccolti come dei preziosi strumenti di dominazione, cosa ne voleva fare la Comune? Precisamente distruggerli ovunque, come aveva già fatto a Parigi. La Comune dovette subito riconoscere che la classe operaia, una volta al potere, non poteva servirsi della vecchia macchina governativa, e che, per non ricadere sotto il giogo di nuovi padroni, doveva abolire tutti i sistemi di oppressione che fino allora avevano funzionato contro di essa».
Il ricordo dei combattenti della Comune è venerato, ieri come oggi, da tutto il proletariato mondiale di tutti i paesi. La Comune non combatté per una causa puramente nazionale, ma per l’emancipazione di tutta l’umanità lavoratrice, di tutti gli oppressi e sfruttati. Combattente avanzata della rivoluzione sociale, la Comune si è guadagnata le simpatie del proletariato che soffre e combatte. Ecco perché l’opera della Comune non è morta; essa rivive in ciascuno di noi.
«La Parigi operaia del 1871 – scrive Marx – la Parigi della Comune, sarà per sempre celebrata come l’avanguardia di una nuova società. La memoria dei suoi martiri vivrà, come in un santuario, nel grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori sono già stati inchiodati dalla storia alla gogna eterna, e tutte le preghiere dei loro preti non arriveranno a redimerli».
Teramo 18 marzo 2021