ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL CENTENARIO DEL PCI: LIONE 1926 – SALERNO 1944 di Piero De Sanctis
In questi ultimi tempi è tornata di moda, soprattutto ad opera di studiosi storici seri, gli altri non sono presi in considerazione, una vecchia questione circa i nessi e le differenze tra la formazione del Pcd’I del 1921 e la formazione del partito nuovo della cosiddetta svolta di Salerno. Alcuni storici affermano che tra la concezione del partito di Livorno e quella di Salerno ci sia stato una vera e propria metamorfosi, una trasformazione genetica, una frattura; mentre altri sono del parere che ci sia stata un adeguamento rispetto alla nuova situazione mondiale dopo la seconda guerra. È una concezione semplicistica e semplificata quella di vedere, come molti storici sostengono, ad esempio, che la sconfitta del biennio rosso sia un effetto causale della ripresa dell’economia americana del 1918. Si tratta invece di ricercare le cause della sconfitta politica del ’20, all’interno della situazione storico-politica del primo ventennio del Novecento evitando il ricorso a cause esterne. Il metodo scientifico ci insegna che le cause di un fenomeno fisico vanno ricercate all’interno della fisica stessa e non attraverso l’introduzione di forze trascendentali e soprannaturali.
La causa reale e fondamentale della nascita del Pcd’I nel ’21 è senz’altro dovuta al nullismo opportunista e riformista del partito socialista italiano. Scrive Gramsci sull’Ordine Nuovo del 24 gennaio 1920: «il Partito socialista va a pezzi, si disgrega; il partito perde ogni giorno di più il contatto con le grandi masse in movimento; gli avvenimenti si svolgono e il partito ne è assente; il paese è percorso da brividi di febbre, le forze dissolventi della democrazia borghese e del regime capitalistico continuano a operare implacabili e spietate e il partito non interviene, non illumina le grandi masse degli operai e dei contadini». Gramsci non ha avuto mai nessun dubbio sulla necessità storico-politica della costruzione di un partito autonomo della classe operaia. Necessità sempre più impellente di fronte al nascente fascismo. Tuttavia, per il solo fatto che il partito di Livorno nascesse dal seno del vecchio partito socialista, esso porta con sé, inevitabilmente, parti del suo DNA, come l’opportunismo e il settarismo del partito socialista.
La lotta contro queste nocive concezioni all’interno del nuovo partito impegnerà Gramsci per i successivi anni. Ritornando su questi anni nel suo articolo Cinque anni di vita del Partito del 24 febbraio 1926, Gramsci scrive: «In quella occasione non fu appreso appieno il valore dialettico delle indicazioni di Lenin “Separatevi da Turati, e poi fate l’alleanza con lui”. Questa formula avrebbe dovuto essere da noi adattata alla scissione avvenuta in forma diversa da quella prevista da Lenin. Dovevamo cioè, come era indispensabile e storicamente necessario, separarci non solo dal riformismo, ma anche dal massimalismo che in realtà rappresentava e rappresenta l’opportunismo tipico italiano nel movimento italiano; ma dopo di ciò, pur continuando la lotta ideologica e organizzativa contro di essi, cercare di fare un’alleanza contro la reazione».
In Italia, nel frattempo, il compromesso tra il fascismo e le forze liberali e conservatrici portò alla formazione del governo Mussolini il 30 ottobre 1922. Si trattò, in effetti, di un vero colpo di stato del quale, nella sua immensa tracotanza, Mussolini se ne assunse direttamente la responsabilità con il famigerato discorso del 16 novembre dello stesso anno: «Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli…». I popolari, i liberali di destra e di sinistra, i democratici dei vari gruppi furono tutti d’accordo e ribadirono la loro fiducia al governo Mussolini. Il 24 novembre 1922 fu approvata dal Parlamento, con 275 voti favorevoli e 90 contrari alla Camera, e 196 favorevoli e 19 contrari al Senato, la legge che dava “Pieni poteri” al governo. L’effetto immediato di questa legge fu il licenziamento, senza nessun controllo, di 65274 tra funzionari, agenti e operai ritenuti “personale esuberante o incapace”; furono colpiti i ferrovieri, ridotti per decreto da 226000 a 190000. Con la stessa legge furono istituiti il “Gran Consiglio” e la milizia volontaria per la sicurezza nazionale come trasformazione delle forze squadristiche.
Così, mentre il regime fascista procedeva verso un suo assestamento e consolidamento, i gruppi antifascisti, messi fuorilegge dalle leggi liberticide del novembre 1926, furono costretti a rifugiarsi nell’esilio e nella clandestinità. Per queste ragioni il III Congresso del Pcd’I si tenne a Lione e le sue tesi furono scritte da Gramsci e Togliatti. Esse si concentrarono soprattutto sugli aspetti teorici e organizzativi del partito conformemente alle indicazioni del V Congresso dell’I.C. Indicazioni che si innestavano organicamente col processo di rinnovamento avviato dal gruppo dirigente del partito guidato da Gramsci.
Aprendo i lavori del Congresso di Lione, Gramsci afferma che esiste una profonda analogia tra il lavoro di “bolscevizzazione” che il partito compie e l’azione esercitata da Carlo Marx in seno al movimento operaio. «Si tratta, oggi come allora, di combattere – dice Gramsci – contro ogni deviazione della teoria e della pratica della lotta di classe rivoluzionaria, e la lotta si svolge nel campo teorico, in quello organizzativo e in quello che si riferisce alla tattica e strategia del partito del proletariato. Nel nostro partito però la discussione più ampia si è svolta sul piano organizzativo; ciò si spiega perché oggi è su questo piano che le conseguenze delle diverse posizioni teoriche e tattiche appaiono immediatamente evidenti a tutti i compagni, anche a quelli che sono meno preparati a un dibattito puramente teorico».
«Secondo l’estrema sinistra – continua Gramsci – Il processo di formazione del partito è un processo “sintetico”; per noi esso è invece un processo di carattere storico e politico, legato strettamente a tutto lo sviluppo della società capitalistica. La diversa concezione porta a determinare in modo diverso la funzione e i compiti del partito……La errata concezione che ha l’estrema sinistra circa la natura del partito ha innegabilmente un carattere di classe…… La concezione dell’estrema sinistra, la quale pone su uno stesso piano gli operai e gli elementi che provengono da altre classi sociali e non si preoccupa di salvaguardare il carattere proletario del partito, corrisponde ad una situazione in cui gli elementi intellettuali erano gli elementi politicamente e socialmente più avanzati, ed erano quindi destinati ad essere gli organizzatori della classe operaia. Oggi, secondo noi, gli organizzatori della classe operaia devono essere gli operai stessi».
Una seconda questione che Gramsci affronta nelle tesi è il problema dei rapporti che debbono essere stabiliti tra la classe operaia e le altre classi anticapitalistiche. In nessun paese – dice Gramsci – il proletariato è in grado di conquistare il potere e tenerlo con le sole sue forze…. La questione è particolarmente importante per l’Italia, dove il proletariato è una minoranza della popolazione lavoratrice. Esso è disposto geograficamente in forma tale che non può presumere di condurre una lotta vittoriosa per il potere se non dopo aver dato una esatta soluzione al problema dei suoi rapporti con la classe dei contadini». Sulla strada che facilita detta alleanza, Gramsci inserisce la questione del Vaticano come forza politica controrivoluzionaria, la cui base sociale sono appunto i contadini. Per Gramsci le forze motrici della rivoluzione italiana sono 1) la classe operaia e il proletariato agricolo; 2) i contadini del Mezzogiorno e delle isole. La nascita del fascismo, la cui base sociale è costituita dalla piccola borghesia urbana e da una nuova borghesia agraria, rientra nel quadro della politica tradizionale delle classi dirigenti italiane contro la classe operaia.
Questo è, dunque, in sintesi, il grande lavoro storico-politico di Gramsci, che trasformò il partito settario del ’21 nel grande partito comunista del ’26, armato della teoria marxista e strutturato secondo le indicazioni di Lenin. Il Congresso di Lione segna, dunque, una fase storica decisiva: la classe operaia italiana ha finalmente il suo partito, la sua politica autonoma e indipendente, la sua filosofia scientifica, la sua visione del mondo e della società. Questo salto di qualità, questo nuovo partito di Lione, fu l’unico partito antifascista che continuò a svolgere un’attività organizzata all’interno del paese fino a quando, nel novembre del 1926, Gramsci, nonostante avesse l’immunità parlamentare, fu arrestato. «Il partito comunista d’Italia tra tutti i partiti che continuarono la lotta – dice Giorgio Candeloro nella sua Storia dell’Italia moderna – contro il fascismo dopo il ’26 fu quello che seppe meglio conservare i legami con la classe operaia e con settori non trascurabili di lavoratori delle campagne…nonostante interruzioni più o meno lunghe, dovute all’azione repressiva della polizia fascista e alle condanne del Tribunale Speciale».
Nel 1927 il Tribunale Speciale cominciò a funzionare e a colpire soprattutto i comunisti: 255 condanne per un totale di 1371 anni di carcere; nel 1928 le condanne furono 636 per un totale di 3404 anni di carcere. Così mentre veniva attuata la costruzione del regime fascista, i partiti e i gruppi antifascisti, messi fuori dalla legalità dalle leggi fasciste, furono costretti all’esilio e alla clandestinità, oppure ad abbandonare la lotta politica. Molti preferirono ritirarsi a vita privata nell’attesa che passasse la bufera, e tornasse il bel tempo. Questa è una prima distinzione che bisogna fare per una migliore comprensione della lotta di Resistenza e per la Repubblica.
Il movimento liberale e quello cattolico scelsero la via dell’attesismo, quello socialista e comunista, e quello repubblicano e alcuni gruppi democratici si organizzarono scegliendo la via della lotta. De Gasperi, ex segretario del disciolto partito popolare, arrestato a Firenze nel marzo del 1927, processato e condannato a quattro anni di reclusione, fu liberato, dopo appena un anno di carcere, su intercessione del Vaticano e impiegato dalla Santa Sede presso la biblioteca Vaticana dove rimase fino alla Liberazione. Lontano dall’affrontare problemi politici del momento, e per questo tollerato dal fascismo, si costituì attorno alla rivista Critica, fondata da Croce, che si dilettava di metapolitica, un gruppo di intellettuali intenti a stabilire la continuità tra il fascismo e l’Italia prefascista, ovvero se il fascismo rappresentava, con Croce, una rottura col processo di sviluppo del liberalismo.
Nel gennaio del 1944 in Europa e in Oriente si combatte ancora. Nell’Europa occidentale dominano le armate angloamericane e nell’Europa orientale quelle dell’Armata Rossa. Le armate nazifasciste sono in rotta su tutti i fronti grazie alla Grande coalizione antifascista tra l’Urss, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
Il 27 marzo del ’44 arriva a Napoli, dopo un lungo viaggio (Mosca, Cairo, Algeri, Napoli), Palmiro Togliatti, recando con sé le decisioni del Consiglio nazionale del Pci delle regioni del nord liberate dai partigiani. Queste decisioni, sostanzialmente coincidenti con la linea indicata dal governo sovietico, costituirono la premessa di quel mutamento politico, passato alla storia col nome di svolta di Salerno. In effetti, questa linea politica di favorire l’unione di tutte le forze democratiche e antifasciste fu ampiamente svolta in un articolo delle Izvesttija (organo del governo sovietico) del 30 marzo1944. La linea fu, inoltre, ribadita dal Consiglio nazionale del Pci riunito a Napoli il 30 e 31 marzo.
La svolta di Salerno ebbe ripercussioni vastissime e procurò discussioni vivaci non solo tra i partiti antifascisti e all’interno dello stesso Pci, ma anche tra gli storici in quanto, secondo loro, segnò l’inizio di un nuovo corso politico e nella fattispecie la costruzione di un Partito nuovo, nel senso che questo, nulla ha a che vedere col partito del ’21 di Livorno, dimenticando che il partito di Gramsci è quello di Lione del ’26, di cui abbiamo sinteticamente già parlato. A chiarire la questione è lo stesso Togliatti che nel suo discorso pronunciato a Firenze il 3 ottobre 1944, difende sia la scissione di Livorno che la costruzione del partito di Lione, evitando, da buon storico marxista, di dividere la storia in compartimenti stagni. Dice Togliatti: «Per questo noi volevamo la scissione, e ricordate, compagni, che noi non rinneghiamo niente di quello che abbiamo fatto nel 1921, quando abbiamo gettato le basi del partito comunista. La storia ha dato ragione a noi. Prima di tutto perché noi abbiamo saputo resistere e combattere in questi venti anni, e, quando il popolo italiano si è trovato di fronte alla catastrofe del proprio paese ed ha cercato una guida, un partito, il quale sapesse dire al popolo la parola nuova che doveva essere detta, in questa situazione di fallimento delle classi dirigenti capitalistiche reazionarie, esso ha trovato tutto questo nel Partito comunista. Noi non rinneghiamo niente di quello che abbiamo fatto quando abbiamo gettato le basi del Partito comunista, per creare il quale abbiamo dato tutta la nostra vita, per il quale si sono sacrificati i migliori combattenti del popolo italiano, per creare il quale ha dato tutte le sue energie e sacrificato la propria esistenza il capo del nostro partito, il compagno Antonio Gramsci».
Ma come è cambiata la situazione nazionale e internazionale del ’44 rispetto a quella del ’26? Togliatti era perfettamente consapevole che l’attuale guerra, a differenza della Prima guerra mondiale, aveva sostanzialmente carattere di guerra antifascista e di liberazione e uno dei compiti principali era il ristabilimento delle libertà democratiche.
Ora non c’è più l’orda del fascismo al comando delle forze più retrive e reazionarie del capitalismo italiano. Non c’è più Mussolini, né la sua banda di generali. Nel ’44 la guerra era già praticamente finita anche se nel nord dell’Italia si combatteva ancora. Stalingrado era ormai il simbolo della vittoria dell’Armata Rossa sul nazismo. Stalin venne acclamato come il più grande stratega della Seconda guerra mondiale da tutti i capi politici e militari della Grande Alleanza Antifascista. Un esempio per tutti: dice Winston Churchill «che è stata una grande fortuna per la Russia aver avuto questo rude maestro che l’ha guidata nelle ore difficili. È un uomo con una personalità eccezionale, l’uomo che era necessario in questi tempi duri e tempestosi…È un uomo di un coraggio e di una energia inesauribili, un uomo dritto dalla parola schietta e perfino brusca. È soprattutto un uomo dotato di quel buon senso che può salvare una situazione, il che ha un’enorme importanza per tutti gli uomini e per tutte le nazioni. Il Maresciallo Stalin mi ha dato l’impressione di una fredda e profonda saggezza e di un’assenza completa d’illusioni di ogni genere». Lo stesso De Gasperi il 21 luglio del ’44, al teatro Brancaccio di Roma, riconosceva il grande ruolo liberatore dell’Armata Rossa e il “genio” di Stalin.
Dal 4 all’11 febbraio 1945 si riunirono in Crimea, nella residenza estiva del defunto zar Nicola II presso Yalta, Stalin, Roosevelt e Churchill, per decidere non solo sui piani per la sconfitta finale, l’occupazione e il disarmo della Germania hitleriana, ma per discutere anche sui principi di una organizzazione duratura della pace nel mondo. Nella dichiarazione congiunta diramata contemporaneamente a Mosca, Londra e Washington, in nove punti, le grandi potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale riaffermano la comune volontà e la «determinazione di mantenere e rafforzare nella pace futura questa unità di scopi e di azioni che ha reso possibile e sicura la vittoria». Il merito fondamentale di questa dichiarazione consiste, non solo come abbiamo sopra visto di delineare con precisione l’assetto dell’ordine internazionale postbellico, ma soprattutto quello di riconoscere il movimento operaio internazionale quale artefice primo della sconfitta del nazifascismo e la sua grande forza e la coscienza di essere la salvatrice dell’umanità e che quindi, nella ricostruzione dell’Europa, essa dovesse assumere un ruolo fondamentale.
Circa un anno e mezzo prima, nell’ottobre del 1943 ( la fuga del re con la regina, il principe Umberto e Badoglio accompagnati dal ministro della Real Casa Pietro Acquarone, era già avvenuta il 9 settembre alle ore 5 del mattino del’43 ), fu indetta a Mosca un conferenza dei ministri degli esteri degli Usa, della Gran Bretagna e dell’Urss, la quale decise di istituire un organismo consultivo chiamato ACI (Advisory Council of Italy) che fissava sette punti sulla politica degli alleati in Italia. Il documento conclusivo, reso pubblico il 20 novembre del ’43, nel primo punto afferma: «È necessario che il governo italiano (Si riferisce al primo governo Badoglio entrato in funzione il 27 luglio del ’43 e composto, oltre al primo ministro Badoglio, da 5 generali e 11 ministri, tutti collusi col fascismo, ndr) sia reso più democratico mediante l’inclusione dei rappresentanti di quei settori del popolo italiano che hanno sempre avversato il fascismo». Il secondo stabiliva la garanzia delle libertà fondamentali e l’autorizzazione alla formazione dei partiti politici antifascisti. Gli altri cinque punti stabilivano la soppressione delle organizzazioni e istituzioni fasciste, la rimozione dei fascisti da tutte le amministrazioni pubbliche, la liberazione di tutti i prigionieri politici, l’arresto e la consegna alla giustizia di tutti i capi fascisti e dei generali riconosciuti o sospettati di essere criminali di guerra.
Il 9 giugno del 1944, con Giuseppe Di Vittorio, nasceva a Roma la Cgil. Nel suo primo Congresso Nazionale, tenuto a Napoli dal 28 gennaio al 1° febbraio del 1945, nella mozione finale, tra l’altro, si chiede «la nazionalizzazione dei monopoli e delle industrie fondamentali» giudicata indispensabile per l’effettiva democratizzazione dell’Italia.
Il nuovo assetto internazionale uscito dopo la vittoria sul nazifascismo è caratterizzato, dunque, non solo da un grande entusiasmo per la riconquistata libertà ma, soprattutto, da una concezione unitaria dei rapporti internazionali sottoscritti dagli accordi di Yalta nei quali si legge: «…che durante il contemporaneo periodo di instabilità nell’Europa liberata, la politica dei loro tre governi circa l’assistenza da prestare ai popoli dell’Europa liberata dalla dominazione della Germania nazista e ai popoli già satelliti dell’Asse, perché essi possano risolvere con metodo democratico i loro urgenti problemi politici ed economici, è da loro coordinata. La fondazione dell’ordine in Europa e la ricostruzione della vita economica nazionale debbono essere perseguite mediante procedimenti che mettano in condizione i popoli liberati di distruggere le ultime vestigia di fascismo e nazismo, e di creare istituzioni democratiche di loro propria scelta».
Questa è, in estrema sintesi, la nuova inedita situazione politica internazionale che Togliatti, nel suo rientro in Italia, nel marzo del ’44, si trova di fronte. È una strada, se così si può dire, che nei suoi aspetti generali è già tracciata e di cui il Pci deve necessariamente prenderne atto. Ce ne possiamo rendere conto rileggendo il suo discorso di Firenze del 3 ottobre del ’44: «…I comunisti comprendono oggi che il loro dovere fondamentale nell’Italia ancora occupata dai tedeschi e dai traditori fascisti, è quello di prendere le armi e di mettersi alla testa di tutto il popolo, per liberare il nostro paese e schiacciare per sempre il fascismo…una guerra condotta dai paesi anglosassoni, dai paesi democratici, che fanno parte di un grande blocco cui partecipa anche l’Urss, il paese del socialismo, contro le armate tedesche e contro i fascisti. Noi dobbiamo tener conto di tutte queste condizioni e dobbiamo determinare la nostra politica, il nostro atteggiamento fondamentale, come Partito in vista di questa nuova situazione creatasi in Italia…È evidente che, posto il problema in questi termini, i compiti del nostro Partito cambiano rispetto a quelli che erano un volta». Togliatti poi riassume tutti questi nuovi compiti in tre problemi fondamentali: 1) Il carattere speciale, l’impronta nazionale che prende il partito; 2) La possibilità che si è aperta al Partito di partecipare al Governo; 3) Il carattere di massa e popolare che deve avere il Partito.
Certamente questa nuova linea politica, come abbiamo già detto, non poteva non suscitare un vivace dibattito all’interno del Partito, soprattutto in relazione al terzo problema fondamentale, sopra accennato, nel quale è facile riscontrare formalmente una netta contraddizione con la concezione del Partito del ’26. Ma se tra il 1926 e il 1944 ci sono 18 anni di differenza e in mezzo la Seconda guerra mondiale, ciò non ha impedito al DNA del nuovo partito di aver assimilato parti vitali del DNA del vecchio. Parti del vecchio vivono nel nuovo, anche come linguaggio, quando si dice che senza il partito di Livorno non ci sarebbe stato quello di Lione e, senza questo, quello di Salerno. Ciò non deve fare nessuna meraviglia.
Nelle scienze naturali e fisiche hanno convissuto e convivono tutt’ora, teorie fisiche che, inizialmente, apparivano del tutto opposte e contraddittorie, come quelle, ad esempio, di inizio Novecento, che servivano a descrivere il moto degli atomi: da una parte la vecchia meccanica newtoniana del continuo, portata a compimento da Laplace, che serviva a descrivere il moto degli elettroni attorno ai nuclei e dall’altra, la nuova meccanica quantistica del discontinuo, che serviva a descrivere il moto degli atomi eccitati. Così come è successo per il fotone: questo quanto di luce che una volta ci mostrava il suo aspetto ondulatorio e, un’altra volta, il suo aspetto corpuscolare a seconda del tipo di esperimento che si faceva, fino a quando non si capì che si trattava di due aspetti diversi, dialetticamente legati, della stessa entità fisica.
È vero che nel periodo 1944 – ’64 si ristabilì la proprietà individuale dei mezzi di produzione, ma sulla base di una forte e combattiva classe operaia che, con dure lotte, conquistò rispetto, diritti e stato sociale. Come fu lungo il processo di trasformazione della proprietà privata degli individui, fondato sul loro proprio lavoro, in proprietà capitalistica, anche la trasformazione della proprietà capitalistica, dei paesi occidentali, in proprietà sociale, è un processo altrettanto lungo e necessario.