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GIORGIO PARISI F I S I C A M E N T E di Piero De Sanctis

Le idee non possono mai portare oltre
una vecchia situazione del mondo, ma
sempre oltre le idee della vecchia
situazione del mondo. In generale, le idee
non possono attuare niente. Per l’attuazione
delle idee c’è bisogno degli uomini, i quali
impiegano una forza pratica.
(Carlo Marx)

L’assegnazione del Nobel 2021 per la fisica a Giorgio Parisi,  di anni 73, «per i contributi innovativi alla nostra comprensione dei sistemi fisici complessi», al di sotto dei quali il fisico romano ha scoperto un ordine, costituisce un grande  riconoscimento al valore della scuola italiana di fisica fondata da Enrico Fermi negli anni Venti del secolo scorso.   Sistemi biologici, sistemi caratterizzati da un grandissimo numero di particelle dell’ordine di miliardi di trilioni che interagiscono tra loro, come le reti di neuroni del cervello, sono definti sistemi complessi apparentemente governati dal disordine e dal caso, hanno tutti un ordine sottostante che Parisi ha scoperto. Ancora una volta la scienza si è incaricata di dimostrarci che caso e causalità, causa ed effetto, non stanno tra loro in rigida opposizione, ma interagiscono tra loro e, malgrado la loro contrarietà, si compenetrano vicendevolmente.

Ma la scoperta di Parisi, tuttavia, risale a circa 40 anni fa e, come è stato già detto, si può considerare come un Nobel alla “Carriera”. Una carriera unica sotto tutti gli aspetti, non solo per la sua genialità, ma soprattutto per il suo immenso lavoro per la costruzione e lo sviluppo della scuola romana di fisica teorica. E’ da sottolineare, inoltre, che Parisi appartiene a quella ridotta schiera di scienziati che hanno messo la loro intelligenza al servizio dell’impegno sociale, politico e civile. A lui va il merito di averci spiegato, fin dai primi giorni, l’andamento della pandemia quando nessuno ancora ci capiva niente. Fu lui a schierarsi per primo, nel 2008, contro i tagli dei fondi alla Ricerca scientifica e all’Università. E non è stato un caso che la sua prima dichiarazione, dopo la vittoria del Nobel, all’Ansa  sia stata di sostegno alla Ricerca:« La ricerca è estremamente importante per creare il futuro ed è importante che in Italia sia finanziata sul serio. Investire sulla ricerca significa investire sui giovani».

L’importante articolo dal titolo Fisicamente di Parisi, apparso qualche settimana fa sul sito sinistrainrete è senza alcun dubbio un grande contributo per la ripresa del dibattito sulla scienza e sui suoi risvolti sociali e filosofici, soprattutto oggi nel momento in cui registriamo forti tendenze antiscientifiche e pratiche astrologiche e magiche di ogni sorta.  Dibattito abbandonato da circa mezzo secolo, dopo la grande stagione degli anni Settanta, durante la quale furono pubblicati libri e riviste sulla scienza di notevole qualità. Ricordiamo il libro L’Ape e l’Architetto del 1976, al quale l’articolo Fisicamente si riallaccia, con l’introduzione del fisico Marcello Cini e la collaborazione di fisici e matematici quali Michelangelo de Maria, Giovanni Ciccotti e Giovanni Jona-Lasinio.

Ma già nel 1973, quando Parisi si trovava alla Columbia University di New York, da un anno era stato pubblicato il n.6 di Critica marxista  e, nel 1974 il prezioso libro di Ludovico Geymonat Attualità del materialismo dialettico. Due pubblicazioni che incisero profondamente sugli studi e studiosi marxisti italiani. « Negli anni ’60 – dice Parisi – la situazione incomincia a cambiare. In Italia molti intellettuali incominciano a riflettere al di fuori degli schemi tradizionali e cercano di aprirsi uno spazio a sinistra. Il ’68 rompe impetuosamente gli argini e nel ’69 un gruppo di intellettuali  e dirigenti politici del partito comunista italiano ( tra cui uno degli autori de L’Ape e l’Architetto) pubblica una rivista (poi diventata un quotidiano ), Il Manifesto. ….E potendono parlare con cognizione di causa, conoscendone i meccanismi dall’interno, i nostri autori, scienziati e fisici di professione, e contemporaneamente marxisti, decidono che è il momento di riconsiderare le posizioni tradizionali sul ruolo della scienza nella società». L’acceso dibattito, che si sviluppò in quegli anni tra scienziati e filosofi aderenti da vecchia data al Pci e, i nuovi giovani intellettuali e scienziati-filosofi, anch’essi iscritti al Pci, autori del libro L’Ape e l’Architetto, costituisce schematicamente il contenuto dell’articolo Fisicamente. E’ lo stesso Giorgio Parisi a riassumerci i grandi problemi che erano alla base del dibattito: l’oggettività della scienza, l’uso capitalistico della scienza, il rapporto scienza-società, la neutralità o non neutralità della scienza e, soprattutto la tanto bistrattata dialettica materialistica.

E’ evidente che in questo mio breve articolo è del tutto impossibile trattare argomenti così grandi e profondi che hanno impegnato le più grandi menti degli ultimi duecento anni. E’ possibile però entrare nel merito del dibattito in questione e valutare, da un punto di vista di classe, le due antitetiche posizioni che in esso si sono manifestate.

Secondo la “Nuova sinistra”, o il “marxismo critico” ( così si autodefiniscono i giovani scienziati e filosofi autori del libro in esame), il vero compito dello studioso di problemi filosofico-scientifici che sia orientato in senso rivoluzionario, non sarebbe più oggi quello ritenuto centrale dai primi marxisti incardinato sullo studio dell’Antidühring della Dialettica della Natura di Engels e sul Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin, ( questi due autori del socialismo scientifico avrebbero posto l’accento sul significato gnoseologico della scienza della natura), sarebbe invece quello di indagare le basi materiali del progresso tecnologico-scientifico, le cui conseguenze sono state talvolta disastrose (vedi la bomba atomica). Nella introduzione a L’Ape e L’Architetto Marcello Cini accusa sia Engels che Lenin di sostenere la tesi di una insanabile frattura tra scienza e società. Dice Cini: « In quanto ponevano l’accento (Engels e Lenin ndr.) sul significato gnoseologico delle scienze della natura, questi scritti, infatti, potevano ben essere presi a riferimento concettuale per una concezione del mondo fondata su una netta separazione tra natura e storia».

Non v’ è dubbio che, a prima vista, queste tesi siano affascinanti e non privi di interesse, suscitando una viva curiosità soprattutto tra i giovani. Una di queste tesi afferma infatti che bisogna analizzare la scienza tenendo conto delle sue finalità sociali e del suo ruolo sociale determinando da un lato gli effetti della scienza sulla società e, dall’altro, come le richieste della società condizionino la scienza. Forse, inconsapevolmente, il prof. Cini, con queste tesi si riallaccia a quelle di Bucharin  espresse durante il Congresso della scienza e della tecnologia tenutosi a Londra nel 1931 e, violentemente criticate da Gramsci nel quaderno 11,pag.1425.

Dice Gramsci: « Nel Saggio popolare di Bucharin manca una trattazione qualsiasi della dialettica…..L’assenza di una trattazione della dialettica materialistica  può avere due origini; la prima può essere costituita dal fatto che si suppone la filosofia materialistica scissa in due elementi: una teoria della storia e della politica concepita come sociologia (sperimentale nel senso grettamente positivistico) e una filosofia propriamente detta, che poi sarebbe il materialismo filosofico o metafisico o meccanico (volgare)…..Posta così la questione, non si capisce più l’importanza e il significato della dialettica materialistica che, dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica viene degradata a una sottospecie di logica formale, a una scolastica elementare. Il significato della dialettica materialistica può essere solo concepito in tutta la sua fonda mentalità solo se la filosofia del materialismo è concepita come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale del pensiero in quanto supera ( e superando ne include in sé gli elementi vitali) sia l’idealismo che il materialismo tradizionali espressioni della vecchia società. Se la filosofia della praxis non è pensata che subordinatamente a un’altra filosofia,non si può concepire la nuova dialettica materialistica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime. La seconda origine pare sia di carattere psicologico. Si sente che la dialettica materialistica è cosa molto ardua e difficile, in quanto il pensare dialetticamente va contro il volgare senso comune che è dogmatico, avido di certezze perentorie ed ha la logica formale come espressione…..La radice di tutti gli errori del Saggio e del suo autore consiste appunto in questa pretesa di dividere la filosofia marxiana in due parti: una sociologia e una filosofia sistematica». «La riduzione della filosofia del materialismo storico dialettico – continua Gramsci –  a una sociologia ha rappresentato la cristallizzazione della tendenza deteriore già criticata da Engels ( nella lettera a due studenti pubblicata nel Sozial Akademiker) e consistente nel ridurre una concezione del mondo a un formulario meccanico che dà l’impressione di avere tutta la storia in tasca. Essa è stata il maggiore incentivo alle facili improvvisazioni giornalistiche dei “genialoidi”».

Questo metodo di sezionare in più parti, l’una indipendente dall’altra le quali evolvono in maniera autonoma, il carattere essenzialmente unitario del materialismo storico-dialettico, è una prassi da lungo tempo collaudata che ha prodotto vari “marxismi” in stretto rapporto con le nuove discipline del neocapitalismo. Di qui la necessità, secondo i sostenitori di marxismo critico, del confronto con la linguistica,  con l’empirismo angloamericano e con lo strutturalismo. In tale contesto nasce L’Ape e L’architetto con la dichiarata intenzione di trasformare la scienza in sociologia, cioè liquidare il marxismo attraverso una vecchia teoria di stampo idealistico. « Che cosa di più piacevole –dice lo storico della scienza Paolo Rossi nel 1975 – di una vecchia cosa, già usata da molto tempo, che abbia anche l’apparenza dell’ultima novità?».

Come è possibile, inoltre, sostenere la tesi dell’uso capitalistico della scienza che, secondo il “marxismo critico”, dovrebbe estendersi « fino ad esaminare se anche nel tessuto stesso della scienza…..non si potessero rintracciare le impronte dei rapporti sociali di produzione capitalistici, nell’ambito dei  quali essa oggi viene prodotta » e, nel contempo, ignorare ciò che Marx scrisse nel  Capitale,libro primo,cap.XIII? Nel paragrafo n. 2 Trasmissione di valore dalle macchine al prodotto Marx scrive :« S’è visto che le forze produttive derivanti dalla cooperazione e dalla divisione del lavoro non costano nulla al capitale sono forze naturali del lavoro sociale. Neppure le forze naturali, le quali, come il vapore come l’acqua ecc, vengono appropriati ai processi produttivi, costano nulla…..La scienza non costa  in  genere niente al capitalista, il che non gli impedisce affatto di sfruttarla. La scienza altrui (nel  senso di carattere sociale della scienza ndr.) viene incorporata al capitale, come il lavoro altrui.. Ma appropriazione “capitalistica” e appropriazione “personale” sia di scienza, sia di ricchezza materiale, sono cose del tutto disparate ».

« Se quindi –continua Marx – è evidente a prima vista che la grande industria deve aumentare straordinariamente la produttività del lavoro incorporando ( uso, inglobamento, per Marx sono sinonimi, ndr.) nel processo produttivo enormi forze naturali e le scienze fisiche, non è affatto altrettanto evidente che la produttività così accresciuta non viene acquistata con un aumentato dispendio di lavoro dall’altro lato. Come ogni altra parte costitutiva del capitale costante, le macchine non creano valore, ma cedono il loro proprio valore al prodotto, alla produzione del quale esse servono ». Ma ciò che di solito la Nuova sinistra  omette, quando parla dell’uso capitalistico della scienza, è che per la grande industria « qualunque sia la misura in cui essa, mediante l’aumento della forza  produttiva del lavoro estenda il plusvalore a spese del lavoro necessario, raggiunge questo risultato solo diminuendo  -dice Marx – il numero degli operai impiegati da un dato capitale». E più oltre « L’uso capitalistico del macchinario è l’uso del macchinario per la produzione del plusvalore».

Inoltre Marx mette in evidenza l’intima contraddizione di questo sviluppo tecnico-scientifico che, mentre da una parte è « il mezzo più potente per l’accorciamento del tempo di lavoro  si trasforma dall’altra, nel mezzo più infallibile per trasformare tutto il tempo della vita dell’operaio e della sua famiglia in tempo di lavoro disponibile per la valorizzazione del capitale ». E’ doveroso inoltre sottolineare che per Marx questo processo contraddittorio è irrisolvibile all’interno del sistema e non come identificazione scienza-capitale, e che il dominio sugli uomini, di cui tanto si parla a vanvera, è dovuto al dominio sulle cose, cioè al dominio sui mezzi di produzione. E nonostante le proclamate simpatie maoiste dei marxisti critici, essi ignorano volutamente la posizione di Mao circa il rapporto tra conoscenza scientifica e azione pratica: « Se l’uomo deve riuscire nel lavoro, cioè arrivare ai risultati previsti, deve conformare le sue idee alle leggi del mondo oggettivo esterno; in caso contrario  fallirà ». Pertanto, se gli autori del libro L’Ape e L’Architetto credevano di essere stati i primi a parlare dell’uso capitalistico della scienza si sono sbagliati. E’stato Marx il primo, con cent’anni di anticipo, a studiare l’inglobamento della scienza nel sistema di produzione capitalistico.

Dunque rileggendo con attenzione i testi di Marx non si può ricavare né l’identificazione tra scienza e capitale, né la riduzione del  problema della teoria della conoscenza al problema della coerenza fra sistema scientifico e sistema produttivo. Si può allora concludere con le parole del grande filosofo Ludovico Geymonat « che il cosiddetto marxismo critico è sostanzialmente estraneo alla posizione essenziale  della teoria marxista ».

Nei tempi recenti e recentissimi l’attacco alla scienza, al pensiero scientifico e  alla matematica ha assunto forme deliranti. In un volume di circa 450 pagine, il prof. Lewis S.Feuer, docente di sociologia all’Università della Virginia, espone, nel 1982, una teorizzazione generale della nascita e dello sviluppo della scienza che così possiamo riassumere: Un sociologo ( Feuer,ndr.)  insegna a capire i passaggi dal relativismo economico e sociale alla teoria della relatività, dal concetto di timore in Kierkegaard alla fisica di Bohr, dagli ideali della gioventù nazista al principio di indeterminazione di Heisenberg. Muovendosi su orizzonti più raffinati, un grande filosofo mostra come la morte della filosofia sia intrecciata con il « carattere alienante» della scienza e con «la violenza perpetrata dal sapere scientifico e dalla tecnica».

La figura di Einstein è al centro del libro di Feuer, pubblicato in Italia nel 1990 con il titolo Einstein e la sua generazione. Notevole è il primo capitolo –  Le radici sociali della teoria della relatività di Einstein – nel quale Feuer consiglia agli odierni studiosi di relatività di non attardarsi su sterili problemi di teoria della conoscenza, ma di accettare le determinanti  « extra-logiche o sociologiche» del modo di pensare einsteniano. Il noto sociologo è convinto che per capire la genesi della teoria della relatività di Einstein occorra riandare alla sua infanzia quando frequentava un gruppo di coetanei non conservatori, dai quali aveva appreso sia « il concetto della relatività delle leggi sociali rispetto ai sistemi sociali transitori » sia la vitalità di una «visione rivoluzionaria marxista-machiana». Vi è, soprattutto, la tendenza « a dimenticare fino a che punto l’articolo di Einstein –dice Feuer – del 1905 sulla relatività fosse un documento di ribellione generazionale ». Trovata così la chiave per la spiegazione dell’origine di tutta le teorie scientifiche, il Nostro, si lancia verso la teoria dei quanta. Dice, il più grande storico della scienza Enrico Bellone nel suo magnifico libro La scienza negata, con non celata ironia :« Mentre Einstein faceva parte di un gruppo rivoluzionario che combatteva contro la cultura borghese dominante e meditava sulla filosofia di David Hume, Niels Bohr era inserito in una diversa linea isoemozionale, si identificava serenamente con l’ordine e con la patria, e meditava sull’esistenzialismo di Kierkegaard». Ed, in fine, su un’altra  linea isoemozionale, si muoveva il fisico Heisenberg, ed è impossibile da negare che il suo principio di indeterminazione abbia avuto origine nel particolare ambiente sociale di Monaco che lui frequentava e nel quale aveva appreso la cultura nazista.

Anche la scienza matematica, soprattutto nel Novecento è stata oggetto di attacchi deliranti dei quali ne riporto alcune tra le più significative. Ne L’uomo senza qualità di Musil ( scrittore e commediografo viennese) il protagonista rimprovera la Chiesa per non aver ucciso Galilei prima che facesse troppi danni contro l’umanità…e più oltre Musil sostiene che è stata la matematica, con le sue «minuzie», a demolire la spiritualità con le seguenti parole:  «la matematica è l’origine del perfido raziocinio che fa, sì, dell’uomo il padrone del mondo, ma lo schiavo della macchina pericolosa».

A sostenere la raffigurazione della scienza come fonte dello sfacelo umano, dopo la seconda guerra mondiale,ci pensa il filosofo tedesco Max Horkheimer, direttore  dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte che, fuggito dalla Germania nazista, tiene alla Columbia University una serie di conferenze che si trasformeranno nel saggio del 1947 Eclisse della ragione. In esso l’autore è convinto che «il formalizzarsi della ragione»( cioè, delle teorie matematiche, ndr.) ha fatto sì che nella nostra epoca si sia giunti al culmine di un « distruttivo antagonismo di io e natura» ( cioè, di spirito e materia, ndr.) in cui « si riassume la storia  della nostra civiltà». In Dialettica dell’illuminismo, scritto in collaborazione con il filosofo tedesco e musicista Theodor  Adorno, si sostiene che l’insieme delle regole deduttive in matematica sono forme totalitarie di coercizione sociale, avvero la matematica riflette nella sua struttura deduttiva  coazione e gerarchia. Secondo Enrico Bellone «Horkheimer non era in grado di distinguere un teorema di matematica da un ananas».

P.S

Il pensiero allora non può non correre al presente, nel quale anche la vaccinazione,  strumento prezioso che la scienza medica ci mette a disposizione contro l’attuale pandemia, è accusata di coercizione sociale e di dittatura sociale. Siamo di fronte, ancora una volta, a combattere contro l’antiscienza e contro un pensiero che non è esagerato definirlo, oscurantista e irrazionale.

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