IL DEBITO PUBBLICO: UNA GALLINA DALLE UOVA D’ORO di Piero De Sanctis
Il debito pubblico, questo sconosciuto, ovvero il debito dello Stato nei confronti dei padroni del denaro, eufemisticamente definiti aristocrazia finanziaria, è, in verità, il sistema più inverecondo escogitato dall’economia borghese, studiato e destinato a trasferire la ricchezza nazionale dalle masse popolari ad un gruppo ristrettissimo di speculatori, definito appunto, aristocrazia finanziaria. «Questa – dice Marx – nelle sue forme di guadagno come nei suoi piaceri non è altro che la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese». Essa, salita al potere attorno alla prima decade dell’Ottocento, non l’ha mai più lasciato, come aveva pronosticato, nel 1830, il banchiere liberale Laffitte: «D’ora innanzi regneranno i banchieri».
In questi ultimi mesi, sulla stampa nazionale, sono stati riportati, in proposito, alcuni dati molto significativi relativi al debito pubblico degli Stati Uniti: nel 2000 il debito pubblico americano era di 3.500 miliardi di dollari, pari al 35% del suo PIL. Nel 2022 è di 24.000 miliardi di dollari, pari al 95% del suo PIL (che ammonta a 25.000 miliardi di dollari). Questo enorme aumento del debito degli Stati Uniti è la migliore dimostrazione di come quest’ultimi siano totalmente dipendenti dall’aristocrazia finanziaria della Banca Centrale (FED) e di Wall Street da una parte e, dall’altra, come tale debito stia alla base dell’attuale crisi politica in corso a Washington per il rifinanziamento del bilancio degli Stati Uniti. In Italia il debito pubblico è di 2.700 miliardi di euro, pari al 135% del PIL, che ammonta a 2.000 miliardi di euro.
Tuttavia, la storia di questi ultimi 150 anni ha mostrato che l’indebitamento dello stato, lungi dall’essere un fatto negativo, al contrario, era, ed è, l’interesse diretto della borghesia finanziaria governante. Esso era, ed è, «il vero e proprio oggetto della sua speculazione e la forma principale del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all’aristocrazia finanziaria una nuova occasione per truffare lo stato che, mantenuto artificiosamente sull’orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli. Ogni nuovo prestito era una nuova occasione per svaligiare il pubblico». (Carlo Marx, “Lotte di classe in Francia” Edizioni Rinascita,1948). Non esiste al mondo uno stato capitalistico che non abbia debito col sistema bancario e che abbia, dunque, il pareggio di bilancio, poiché ristabilire l’equilibrio di bilancio significa, soprattutto, colpire, mediante nuovi sistemi di tassazione, gli interessi della borghesia finanziaria dominante.
Per superare l’attuale enorme crisi economica che ha investito l’Europa, a seguito dell’attuale guerra della Nato contro la Russia, il governo italiano, con atteggiamento pietistico, si è rivolto ai padroni del denaro della Banca Centrale Europea, presso Bruxelles, (una vera e propria società per azioni per lo sfruttamento delle risorse europee), per un prestito. La Bce ha subito risposto stanziando un prestito capestro di circa 200 miliardi di euro dal nome altisonante Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), condizionato subdolamente da numerosi vincoli e divieti per quanto riguarda le quote destinate alla scuola e sanità pubbliche, per il salario minimo e l’ambiente, per la lotta alla povertà e per il reddito di cittadinanza, in definitiva, per nessuna riforma sociale; mentre un invito-ordine è mandato dalla Bce al governo italiano per quanto riguarda le quote, pari al 2% del nostro Pil, per le armi destinate ai nazifascisti ucraini, e mano libera al governo per le grandi opere, i grandi ponti, per i treni superveloci, per i contratti di appalti e di subappalti fraudolenti e corrotti. In definitiva si tratta dello svaligiamento delle ricchezze dello stato tramite i grandi prestiti, che si ripete, in piccolo, nei lavori pubblici. Tutto ciò è già accaduto, qualche anno fa, in Grecia. Naturalmente per Marx «il debito pubblico poggia sulla fiducia che lo stato si lasci sfruttare dagli strozzini della finanza».
Il debito del governo degli Stati Uniti di 24 mila miliardi di dollari (che rende felici i magnati del complesso militare-industriale americano e che, di conseguenza, rende felice il governo di Washington), in gran parte è dovuto alle enormi spese militari che, solo per il periodo 2021-’22, ammontano a circa 8.000 miliardi di dollari, necessari per il dominio sul mondo. Ne consegue il desiderio irrinunciabile di una nuova guerra fredda, di dividere l’Europa, di attaccare e distruggere il concetto stesso di socialismo e i regimi socialisti, di distruggere i partiti socialisti, ovunque essi siano, di sostenere i regimi reazionari e neonazisti, al soldo di Washington.
Una eventuale riduzione del debito dello Stato americano (che comporterebbe, non solo una riduzione dei profitti della lobby delle armi, ma una rinuncia alla politica di guerra che, sistematicamente, continua a spaventare il popolo americano con una narrazione fiabesca della realtà storica) è una speranza – come dice lo storico Luciano Canfora, citando Tucidide, – che porta alla rovina.
Teramo 10 giugno 2023