NOTE IN MARGINE AL FILM “OPPENHEIMER” di Piero De Sanctis
Il film dall’enorme risonanza sulla vita del grande scienziato Oppenheimer del regista Nolan, proiettato in queste ultime settimane in tutte le sale europee e americane, non narra soltanto la storia di un uomo o di uno scienziato. Esso esprime e riassume in maniera significativa e penetrante una tragedia, ancora attuale, del nostro tempo: la responsabilità civile dello scienziato nei suoi rapporti con i vertici dirigenti dello Stato, in un periodo in cui le conoscenze scientifiche s’intrecciano non solo con quelle filosofiche, ma soprattutto con le contraddizioni e tensioni economiche e politiche fra le grandi potenze.
Non è facile spiegare, nel linguaggio corrente, il grande mutamento attuale della fisica teorica. Come spiegare, ad esempio, il carattere continuo e, nello stesso tempo, discontinuo della materia: se la luce è formata da corpuscoli (come diceva Newton) o da onde (come diceva Fresnel); l’energia è continua o discontinua formata da quanti; la nozione filosofica di causalità è ancora valida, oppure se per i fenomeni atomici occorra ricorrere alla nozione di probabilità; lo spazio e il tempo sono concetti separati e assoluti (Kant) o sono dipendenti uno dall’altro (Einstein).
Questi sono i temi fondamentali della meccanica ondulatoria, della teoria quantistica e della teoria della relatività generale, sui quali Robert Oppenheimer non ha avuto nessun ruolo, né ha mai realizzato nessuna scoperta veramente “cruciale”. Quindi, mi sembra del tutto improprio parlare di Oppenheimer come padre della bomba atomica, come il film di Nolan cerca di accreditare. In realtà la costruzione pratica della bomba atomica è il risultato finale di un lungo e travagliato processo storico durante il quale furono coinvolte le migliori menti europee della fisica teorica.
Il processo si può far risalire agli inizi del 1932, allorquando, nel Cavendish Laboratory di Cambridge, il grande fisico inglese James Chadwick si accorse che la radiazione che stava studiando conteneva corpuscoli neutri di massa vicinissima a quella del protone e dotati di grande energia, che egli chiamò neutrone. Racconta Emilio Segré, nel suo magnifico libro dal titolo Enrico Fermi Fisico, che ancora prima che Chadwwick si convincesse di aver scoperto una nuova particella, nel 1931, a Parigi, Fréderic Juliot e Irene Curie s’imbatterono nella stessa particella senza, tuttavia, riconoscerla. Arrivata la notizia a Roma, in via Panisperna n. 89, Ettore Majorana immediatamente affermò: «Guarda che sciocchi, hanno scoperto il protone neutro e non se ne sono accorti».
Nel 1928 Oppenheimer rientrò negli Stati Uniti avendo molto imparato dal lungo soggiorno in Europa. Era il periodo in cui i fisici, che avevano studiato sotto i principali fisici quantistici in Europa, erano di numero limitato e molto ricercati. Visitò Cambridge su invito di Max Born, fu ospite presso l’Università di Gottinga assieme al grande matematico David Hilbert, conobbe Niels Bohr, Wolfgang Pauli, Dirac e tanti altri scienziati e filosofi della scienza. Nessun’ altra atmosfera poteva essere più congeniale al giovane Robert Oppenheimer, spirito avido di scoperte, di generalizzazioni ardite e di avventure intellettuali.
Contemporaneamente alla fisica egli continuava a dedicarsi alla letteratura, all’arte, alla filosofia e alle religioni orientali. Il padre aveva acquistato dei quadri e si era creato una interessante e bella galleria personale nella quale spiccavano tre Van Gogh. Pedagogo impareggiabile, divulgatore senza pari, formatore di una generazione di ricercatori. Ma soprattutto rimangono memorabili le sue intuizioni filosofiche riguardanti gli sviluppi delle nuove categorie della fisica.
Intanto, nel 1933, Hitler era salito al potere con un colpo stato. Nelle università tedesche i nazisti cacciavano gli scienziati di origine ebrea e, trai questi, molti amici personali di Oppenheimer e membri della sua stessa famiglia. Nel 1936, quando il fascismo assalì la Repubblica Spagnola egli prese apertamente posizione in sostegno della Repubblica e contro il fascismo. Fu proprio in questo periodo che egli si mise in contatto con i comunisti della California. «Come molti altri americani – scrive Oppenheimer – mi sentii emotivamente attirato dalla causa repubblicana. Ho contribuito a varie organizzazioni che davano sostegno agli spagnoli. Anche quando la guerra di Spagna fu chiaramente persa, quelle attività continuarono». Nelle varie campagne e iniziative intese a fornire aiuti ai repubblicani spagnoli, il Partito comunista fu così dominante che era praticamente impossibile dare dei contributi senza entrare in contatto con i comunisti.
Nell’ottobre del 1942, nel laboratorio ricavato sotto le tribune dello Stagg Fried, lo stadio della università di Chicago, il progetto della costruzione della prima Pila Atomica, diretto da Fermi, procedeva velocemente. Progetto di enorme importanza poiché se avesse funzionato avrebbe dimostrato due fattori fondamentali: il primo, che è possibile avviare una reazione a catena; il secondo, che l’energia atomica per usi pacifici era possibile. La mattina del 2 dicembre 1942, con serafica calma, Fermi pronunciò una frase diventata celebre: «Andiamo a fare colazione». La reazione a catena era una realtà.
Nel marzo del 1943 Oppenheimer, non ancora quarantenne, fu nominato direttore del Progetto Manhattan (in codice progetto “Y”). Nell’estate del 1944, Fermi venne nominato non solo direttore aggiunto del laboratorio, ma fu creato per lui una nuova divisione, la divisione F (iniziale di Fermi). La meta finale era la costruzione della bomba atomica che comportava la soluzione di problemi assai ardui. Tuttavia, già nell’estate del 1945, tutti i problemi furono risolti. Il 14 luglio tutto era pronto. La bomba fu collocata sulla sommità di una torre d’acciaio, nel “punto 0” dell’esplosione.
Per la bomba venne scelto il luogo più adatto in una zona desertica vicino ad Alamogordo, che venne chiamata col nome in codice Trinity. A maggio giunse la notizia della morte di Hitler e della resa della Germania. Gli scienziati cominciarono a chiedersi se avesse ancora un senso finire di costruire la bomba. Ma quale che fosse il mugugno degli scienziati, al di là della politica ufficiale della Casa Bianca, numerosi responsabili dei servizi di sicurezza militari non nascondevano affatto che, per essi, l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro le potenze dell’Asse non sarebbe stato che il primo episodio di una lunga lotta e che il nemico principale sarebbe stato alla fine l’Unione Sovietica.
Il 16 luglio, alle due del mattino, tutto il personale che doveva partecipare all’esperimento era al proprio posto, a 15 chilometri dal “punto 0”. La notte si scatenò un tremendo temporale che mise in forse l’attuazione dell’esperimento, ma la mattina il cielo era sereno e si decise di procedere. Alle cinque e un quarto tutti infilarono gli occhiali neri. La tensione era altissima, come attestano le relative bellissime sequenze del film del regista Nolan. Ma Enrico Fermi, per Nolan, non c’era. Ecco il racconto dello scienziato Emilio Segré, presente anche lui all’esperimento: «Mancava poco all’alba, e l’impressione più forte fu quella di una luce brillantissima. Avevo assistito in aprile all’esplosione di una catasta di esplosivo comune (….) ma la luce dell’esplosione atomica era incomparabilmente superiore, e rimanemmo affascinati dal nuovo grandioso spettacolo. Malgrado gli occhiali neri sembrava che tutto il cielo brillasse di una luce assai più viva di quella del sole splendente (….). In una piccolissima frazione di secondo, a quella distanza, ricevemmo abbastanza luce da prendere una bella scottatura. Io ero accanto a Fermi al momento dell’esplosione, ma non ricordo che si sia detto nulla. Per un momento mi passo per la testa l’idea che l’atmosfera potesse incendiarsi causando la fina del mondo, per quanto sapessi che ciò non era possibile».
Le domande che a questo punto sorgono spontanee a tutti gli spettatori del film sono le seguenti: perché il grande regista Nolan ha taciuto volontariamente la fondamentale ed essenziale importanza del lavoro di Enrico Fermi? Perché nella brevissima sequenza, quando Oppenheimer si reca a parlare con Fermi a Chicago, Fermi è presentato come un tecnico addetto alla manutenzione della Pila Atomica? Siamo di fronte, forse, ad una sorta di nazionalismo scientifico americano?
Teramo 9 settembre 2023