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SULLA  DECADENZA   DELLE   DEMOCRAZIE   OCCIDENTALI   di Piero De Sanctis

I meriti di Marx e di Engels davanti alla classe operaia
possono essere espressi così: essi insegnarono alla classe
operaia a conoscere se stessa, a prendere coscienza di
se stessa, sostituirono la scienza alle chimere. (Lenin)

Da un recente studio della Cgil risulta che «nel 2022, 5,7 milioni di italiani hanno guadagnato 850 euro al mese e altri 2 milioni non arrivano a 1100 euro mensili. La situazione non è migliorata nel 2023, anno in cui l’inflazione ha raggiunto il 5,9 %, che cumulata con quella del dei due anni precedenti, ha raggiunto un totale del 17,3 %». La precarietà e la discontinuità del lavoro, lo sfruttamento selvaggio degli operai, i bassi salari, al di sotto delle esigenze vitali, hanno ridotto milioni di famiglie alla povertà estrema.

È un quadro, questo, che si ripete periodicamente ad ogni crisi economica-finanziaria del sistema di produzione capitalistico. Così è stato per la grande crisi del 2007 con il crac della più grande banca d’affari degli Stati Uniti e, così è stato per la crisi al tempo dell’Austerity di 50 anni  fa, tutte finalizzate al taglio dello stato sociale, al taglio delle pensioni e alla crescita delle tasse. È sempre stato così, fin dalla notte dei tempi: la classe dominante economicamente e finanziariamente scarica la sua crisi sulle spalle dei lavoratori.

In un recente sondaggio Ipsos sullo stato di salute della nostra democrazia si afferma che: «il 71% degli italiani è concorde nel sostenere che il sistema economico funziona solo a beneficio dei ricchi e potenti e, il 54%, afferma che la politica è organizzata innanzi tutto al loro servizio». In altre parole, nella loro semplicità le affermazioni del sondaggio, ci parlano una verità di classe, cioè una fondamentale incompatibilità tra la democrazia e il nostro attuale sistema di produzione capitalistico monopolistico di Stato. Secondo lo storico Giangiacomo Migone la più grande democrazia, quella degli Stati Uniti, «è pericolante: il suo declino diffonde il fenomeno in tutto il mondo occidentale. E il nostro Paese sotto il governo Meloni è la sua mosca cocchiera».

Lo sfruttamento bestiale, del vecchio e nuovo colonialismo finanziario occidentale, che per centinaia di anni è stato la fonte dell’arricchimento, è tornato di moda, affamato più di prima, di materie prime e risorse energetiche, come mostrano le decine di guerre regionali, definite dal papa una vera “guerra mondiale a pezzi”. L’attuale crisi economica-finanziaria dell’Europa e degli Stati Uniti non è altro che il portato di una crisi, ben più profonda, del sistema capitalistico monopolistico di Stato, definito da Lenin: «capitalismo monopolistico che ha come tratto caratterizzante l’unione tra la forza dei monopoli e quella dello Stato borghese».

D’altra parte, nelle attuali grandi condizioni di sviluppo delle forze produttive, sarebbe impossibile l’appropriazione di crescenti quote di profitto, senza l’intervento attivo dello Stato nella economia. Lo Stato, da tempo, rappresenta una possente forza economica, controlla risorse enormi e gli organismi della gestione economica. I più grossi monopoli, la cui attività economica va oggi ben al di là dei confini nazionali, fanno uso dell’apparato statale per garantirsi forme di intervento favorevoli al processo produttivo. I loro rappresentanti di punta, inoltre, partecipano in modo diretto agli organismi di governo, rafforzando l’unione tra monopoli privati e monopoli di Stato. L’emergere di questa fusione tra monopoli e Stato caratterizza il processo incessante di trasformazione del capitalismo monopolistico in capitalismo di Stato. Secondo le statistiche, fin dall’inizio degli anni ’70, nei paesi capitalistici sviluppati, la quota statale nell’insieme degli investimenti era pari al 29% negli Stati Uniti, al16% nella RFT, al 25% in Francia, al 23% nel Giappone, al 36% in Italia, al 49% in Inghilterra. Molto spesso è accaduto, ed accade tuttora, che lo Stato nazionalizzi imprese prossime al fallimento, facilitando così il dirottamento dei capitali privati dai settori a basso profitto a quelli più redditizi.

Per nascondere tutto ciò, gli economisti borghesi hanno messo in circolazione la vulgata secondo la quale il capitalismo monopolistico di Stato, non è più capitalismo, ma neocapitalismo, che si distingue dal primo per la sua maggiore dinamicità e per l’armonia sociale, mentre l’intervento statale eliminerebbe le carenze del vecchio capitalismo passivo. Ma è sotto gli occhi di tutti come lo Stato agevoli gli investimenti privati sotto forma di sussidi, crediti agevolati e riduzione delle tasse sui nuovi investimenti. Allo Stato, inoltre, vengono accollati gli investimenti a più basso saggio di profitto, ma necessari ai settori della produzione e dei trasporti, quali l’industria estrattiva, la costruzione di autostrade e ponti, rete ferroviaria, ecc… Tuttavia, la presenza di una proprietà dello Stato in un paese capitalistico, non significa l’emergere di elementi di socialismo nell’ambito del modo di produzione capitalistico, poiché la classe operaia rimane, pur sempre, sotto la schiavitù salariata.

Cresce nel mondo, in modo esponenziale, il numero dei lavoratori salariati e il peso del loro ruolo sia nella sfera produttiva che sociale. Se all’inizio del XX secolo i lavoratori salariati ammontavano a circa 80 milioni, oggi si parla di miliardi di operai salariati e dei limiti del sistema borghese di produzione che non hanno mai operato secondo un piano, né mai lo potranno fare.

La militarizzazione dell’economia e la corsa agli armamenti, che hanno assunto, in questi ultimi decenni, enormi proporzioni, costituiscono uno dei tratti caratteristici del capitalismo monopolistico di Stato. L’esistenza di una economia militare, dal peso sempre crescente e le ingenti commesse governative di materiali bellici, hanno prodotto negli Stati Uniti il complesso militare-industriale, cioè l’unione dei grandi monopoli americani con i vertici dell’apparato militare. Lo Stato garantisce loro l’approvvigionamento di materie prime, l’acquisto dei loro prodotti a prezzi elevati, mentre tiene segreti i contratti firmati. Le enormi spese finanziarie sostenute dallo Stato vengono poi scaricate sulle spalle del popolo.

La creazione del plusvalore e l’appropriazione di questo da parte dei capitalisti, come ci insegna Marx, è alla base della legge fondamentale del capitalismo in tutte le fasi del suo sviluppo, soprattutto nell’attuale fase del capitalismo monopolistico di Stato che opera per garantirsi profitti enormi, per affossare il movimento operaio e democratico, per distruggere  le Costituzioni nate dalla lotta di Resistenza al nazifascismo. per affossare la lotta di liberazione dei popoli del Medio Oriente e dell’Africa e per arginare l’avanzata del socialismo.

Teramo 21 marzo 2024

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