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A N T O N I O   G R A M S C I   E   P I E R O   G O B E T T I di Piero De Sanctis

Gramsci e Gobetti sono senza dubbi le due delle maggiori personalità politico-culturali dei primi decenni del Novecento italiano. Coetanei ma di formazione politica opposta. Il primo di formazione marxista, il secondo di formazione liberal-democratica, sono stati i più tenaci e convinti oppositori del fascismo mussoliniano. Si sono conosciuti fin dagli anni dell’università, alla facoltà di Lettere a Torino. Si racconta che quando il giovane studente Gramsci fu presentato al prof. di filosofia teorica dell’università, dal prof. Bartoli, costui abbia detto: «riempilo di filosofia, se lo merita. Vedrai che diventerà qualcuno. Vuole approfondire la dottrina di Marx». Negli stessi anni il giovanissimo Piero Gobetti dirà di Gramsci «è venuto dalla campagna per dimenticare le sue tradizioni, per sostituire l’eredità malata dell’anacronismo sardo con uno sforzo chiuso inesorabile verso la modernità del cittadino».

Intanto la Rivoluzione russa del febbraio del 1917 aveva fatto sentire i suoi effetti. Nell’agosto dello stesso anno si ebbero moti di rivolta operaia a Torino, con barricate e lotte per le strade, dove caddero più di cinquanta operai. La voce del ventiseienne Gramsci, già direttore del Grido del Popolo, risuonò forte contrapponendosi a quella di Treves che aveva stigmatizzato come “errore” la sommossa torinese. «Noi – diceva Gramsci – ci sentiamo solidali con questo nuovo immenso pullulare di forze giovanili e non ne rinnegheremo quelli che i filistei chiamano errori e gioiamo del senso gagliardo della vita che ne promana…Il proletariato non vuole predicatori di esteriorità, freddi alchimisti di parole: vuole comprensione, intelligenza e simpatia piena d’amore». Ed è proprio sul settimanale Grido del popolo che il giovane direttore iniziò lo studio dell’esperienza russa e l’analisi degli istituti rivoluzionari di nuova formazione, con serietà e profondità di pensiero tali, che lo stesso Gobetti ebbe a dire: «Gramsci ha trasformato il settimanale in una rivista di pensiero e di cultura».

Infatti, è proprio su questo settimanale, sul finire dell’estate del 1918, che Gramsci dimostra la piena maturità circa l’acquisizione dei principi generali del marxismo: «politica ed economia, ambiente e organizzazione sociale sono tutt’uno, sempre, ed è uno dei più grandi meriti del marxismo avere affermato questa unità dialettica». Ristabilire questa unità ha un valore decisivo per il movimento operaio».

Il primo maggio del 1919 uscì il primo numero de L’Ordine Nuovo, «il solo documento di giornalismo rivoluzionario e marxista che sia sorto in Italia con qualche serietà ideale», dirà Gobetti. Il 16 maggio del 1925 Gramsci andò alla Camera dei deputati per denunciare il disegno di legge fascista, in apparenza contro la massoneria, in realtà per colpire le organizzazioni antifasciste. Poco prima Gobetti aveva scritto su Rivoluzione Liberale «se Gramsci parlerà a Montecitorio vedremo probabilmente i deputati fascisti raccolti silenziosi a udire la sua voce sottile ed esile nello sforzo di ascoltare parrà loro di provare un’emozione nuova di pensiero. La dialettica di Gramsci non protesta contro i brogli e le truffe ma ne documenta dalle pure altezze della idea hegeliana, l’insopprimibile necessità per un governo borghese».

Gramsci lasciò Montecitorio diretto a casa. Alle ore 22.30 della sera fu arrestato, benché protetto dall’immunità parlamentare. Nel 1928 Gramsci fu trascinato davanti al Tribunale Speciale. Il pubblico accusatore fascista disse con tono cinico e sprezzante: «per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare». Gramsci morirà nelle carceri fasciste undici anni dopo, il 27 aprile 1937.

Forse nessun’altro, dopo Gramsci, ha penetrato fino in fondo il pensiero politico e l’azione del giovane Piero Gobetti. Nel 1920 si era alla vigilia dell’ultimo atto rivoluzionario dell’occupazione delle fabbriche a causa del rifiuto degli industriali di discutere gli aumenti salariali richiesti dalla FIOM. Il diciannovenne Gobetti segue con molta attenzione gli avvenimenti. In una sua lettera del 7 novembre 1920, esprimendo solidarietà alla lotta operaia, scrive: «Qui siamo in piena rivoluzione. Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell’opera loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo».

Nel saggio La Questione Meridionale, Gramsci, dopo aver tratteggiato la politica della borghesia settentrionale di sfruttamento coloniale del meridione e, riassunto il punto di vista dei comunisti torinesi, afferma che «al disopra del blocco agrario, funziona nel Mezzogiorno un blocco intellettuale che praticamente ha servito finora a impedire che le screpolature del blocco agrario divenissero troppo pericolose e determinassero una frana. Esponenti di questo blocco intellettuale sono Giustino Fortunato e Benedetto Croce…L’Ordine Nuovo rappresentò una rottura completa con quella tradizione e l’inizio di un nuovo svolgimento…È questo l’elemento principale della figura di Piero Gobetti. Il quale non era un comunista e probabilmente non lo sarebbe mai diventato, ma aveva capito la posizione sociale e storica del proletariato e non riusciva più a pensare astraendo da questo elemento. Gobetti nel lavoro comune del giornale (L’Ordine Nuovo, ndr) era stato da noi posto a contatto con un mondo vivente che aveva prima conosciuto solo attraverso le formule dei libri. La sua caratteristica più rilevante era la sua lealtà intellettuale e l’assenza  completa di ogni vanità e piccineria di ordine inferiore: perciò non poteva non convincersi  come tutta una serie di modi di vedere  e di pensare tradizionali verso il proletariato erano falsi e ingiusti…Egli si rivelò un organizzatore della cultura di straordinario valore…Egli scavò una trincea oltre la quale non arretrarono  quei gruppi di intellettuali più onesti e sinceri che nel 1919-’21 sentirono che il proletariato come classe dirigente sarebbe stato superiore alla borghesia…La figura di Gobetti e del movimento da lui rappresentato furono spontanee produzioni del nuovo clima storico italiano: in ciò è il loro significato e la loro importanza».

«Per quale ragione – si chiede Gramsci – avremmo dovuto combattere contro il movimento di Rivoluzione liberale, come sostengono alcuni compagni di partito? Forse perché esso non era costituito da comunisti puri che avessero accettato dalla A alla Z il nostro programma e la nostra dottrina?…Gli intellettuali si sviluppano lentamente, molto più lentamente di qualsiasi altro gruppo sociale, per la stessa loro natura e funzione storica…Non comprendere ciò significa non comprendere  la quistione degli intellettuali e la funzione che essi svolgono nella lotta delle classi».

Un mese dopo l’assassinio del socialista Giacomo Matteotti, il 5 settembre del 1924, Gobetti aveva appena 23 anni, fu selvaggiamente aggredito da un gruppo di sicari fascisti. Dopo pochi giorni, il 25 settembre, Gobetti verrà aggredito una seconda volta e lasciato esanime sulla porta di casa. Il 6 febbraio del 1926 lasciò Torino per Parigi dove morì il 15 febbraio del 1926 a causa delle ferite riportate.

 

Teramo 25 ottobre 2024

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