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L A S C I E N Z A N E G A T A di Piero Desanctis

L’anno nuovo si è aperto, inopinatamente, per merito dello scrittore-giornalista, Massimo Fini, con un lunghissimo articolo apparso sul giornale Il Fatto Quotidiano del 28 dicembre 2024, dal titolo L’uomo e la scienza troppo relativa, il cui incipit riportiamo integralmente: La nostra è l’era dello scientismo cioè della scienza tecnologicamente applicata. La Scienza attraverso la teoria della relatività di Einstein e dei suoi successori è riuscita a darci una rappresentazione abbastanza credibile dell’Universo in cui siamo costretti a vivere. Ha risolto, o creduto di risolvere, l’eterno problema del rapporto spazio-tempo sostenendo che Spazio e Tempo sono in realtà lo stesso fenomeno che ritorna eternamente su sé stesso.
Se leggendo l’articolo in questione è quasi impossibile districarsi nel labirinto delle citazioni e delle varie discipline trattate, affastellate le une sulle altre e messe insieme in un unico calderone, si capisce, invece, che trattasi di un attacco velenoso contro la scienza e il suo valore conoscitivo. Eppure, fin dagli anni universitari, abbiamo appreso che uno dei canoni fondamentali della ricerca scientifica è quello di tenere distinti i diversi piani per le diverse discipline, nel senso che i problemi della fisica vanno risolti all’interno della fisica, i problemi e i paradossi matematici vanno risolti all’interno della matematica, e così via.
Colui che ha risolto questi problemi, secondo Fini, è stato Nietzsche, con la sua “teoria dell’eterno ritorno dell’identico” il cui nucleo essenziale è la reazione generale contro la scienza, contro lo spirito scientifico di obiettività, contro il razionalismo. Il superuomo – dice Nietzsche – è il filosofo dell’avvenire, il dominatore della storia, che sta al di là del bene e del male. Egli ha creduto di liberare l’uomo distruggendo la forza della ragione e il peso della storia. Ma è finito solo distruggendo sé stesso. Dunque, lo scrittore – giornalista Massimo Fini, critica una delle più grandi conquiste scientifico-matematiche di tutti i tempi di Einstein, con le elucubrazioni paranoiche di Nietzsche. La connessione tra il concetto di spazio e quello di tempo (non di uguaglianza), considerati da sempre, fino a Einstein, come autonomi e indipendenti, sono in realtà connessi dialetticamente come è stato dimostrato sia teoricamente che sperimentalmente.
Einstein, parlando della filosofia del francese Bergson, per il quale «l’intuizione è l’organo supremo della conoscenza umana: è l’atto con cui noi riusciamo ad oltrepassare l’intero campo dei concetti e delle leggi scientifiche, per cogliere il divenire stesso della realtà (Geymonat)», disse: «Che Dio lo perdoni». Ma lo scrittore Fini non è solo. Egli appartiene a quella schiera di sociologi e filosofi idealisti che, dal tempo di Galilei in poi, hanno ostacolato, con l’azione e il pensiero, lo sviluppo scientifico come il nemico principale dell’uomo. Ricordiamone alcune tappe principali.
Il tentativo di scaricare le proprie responsabilità morali e civili sulle spalle degli scienziati, circa l’impiego dell’arma atomica sulle città più densamente popolate di Hiroshima e Nagasaki del Giappone, costituisce, forse, il caso più significativo e illuminante di voluta commistione tra scienza e politica, da parte del potere politico. Tuttavia, le conoscenze in possesso dello scienziato, nelle nostre società, non gli conferisce alcun diritto specifico sugli affari pubblici dello Stato. Ed è un sogno sperare che gli scienziati possano mai esercitare un’azione decisiva sulle scelte di carattere pubblico. E così avvenne. L’uomo che spinse il “bottone” nucleare, il 6 agosto del 1945, fu il Presidente degli Stati Uniti: Truman.
Dopo un quarto di secolo dall’Unità d’Italia, il Ministro della Pubblica Istruzione, Guido Baccelli, nel corso di un dibattito parlamentare affermò, purtroppo inopportunamente, che sarebbe stato saggio ridurre le spese per gli «insegnamenti sperimentali», proprio in un momento in cui le grandi nazioni europee stavano potenziando le strutture materiali della ricerca scientifica, sia sperimentale che teorica. Le grandi potenze che contavano nella scienza, sul finire del XIX secolo, erano: l’Inghilterra, la Germania e la Francia. Per quanto riguarda l’Italia, invece, ci siamo sempre attenuti rigorosamente ai precetti del pensiero di Benedetto Croce: «le scienze naturali e le discipline matematiche, di buona grazia hanno ceduto alla filosofia (idealistica, ndr.) il privilegio della verità, ed esse rassegnatamente, o addirittura sorridendo, confessano che i loro concetti sono concetti di comodo e di pratica utilità, che non hanno niente a che vedere con la meditazione del vero».
La scienza, come se fosse un’opera lirica, è il tema centrale del libro La scienza in azione del sociologo francese Bruno Latour. In esso si sostiene la tesi che le regole deduttive in matematica sono forme totalitarie di coercizione sociale e che, riallacciandosi a varie correnti culturali e politiche degli anni Venti del Novecento, tendevano a classificare gli scienziati come persone di piccolo ingegno e immerse in dettagli, tritumi e piccoli problemi. Era questa, infatti, una vecchia accusa, cioè quella che Simplicio rivolgeva a Sagredo, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, di coltivare tanta curiosità per le minuzie, trascurando gli universali.
Il filosofo-sociologo tedesco Max Horkheimer nel suo libro Eclisse della ragione, del 1947, sostiene che il «formalizzarsi della ragione» ha fatto sì che la nostra epoca sia al culmine di un «distruttivo antagonismo di io e natura…La crisi della ragione trova espressione nella crisi dell’individuo…Al culmine del processo di razionalizzazione la ragione è diventata irrazionale e stupida». Ancora una volta, confondendo i due piani distinti, quello della ricerca scientifica con quello sociale, è facile addossare alla matematica e alla scienza, le precipue responsabilità del sistema di produzione capitalistico. Horkheimer e Theodor Adorno, autori del libro Dialettica dell’illuminismo, sebbene non abbiano alcuna nozione elementare di equazioni differenziali o di fisica quantistica, sostengono che «quando nell’operare matematico, l’ignoto diventa l’incognita di un’equazione, è già bollato come arcinoto prima ancora che ne venga determinato il valore». Essi sono del parere che la matematica rifletta nella sua struttura «coazione e gerarchia».
Nel 1989 il grande storico della scienza Paolo Rossi, nel suo magnifico saggio La scienza e la filosofia dei moderni, in poche righe nella premessa, ricordava di aver scritto quelle pagine in polemica «contro quei letterati e giornalisti, filosofi improvvisati, epistemologhi della domenica, scienziati in disarmo che erano tutti principalmente interessati a presentare a un largo pubblico un’immagine del tutto negativa della scienza». Nell’introduzione, risalente però al 1969, dedicata a Il processo a Galilei nel secolo XX, si ritrovano opinioni espresse contro il grande scienziato, da Husserl, Adorno, Horkeimer, Heideger, sulla scomparsa del pensiero dovuta all’irruzione della scienza sull’uomo e sulla natura. Il rifiuto della scienza, ancora nel secolo XXI, è il segno di una fuga dalle scelte e dalle responsabilità del mondo reale.

Teramo 7 gennaio 2025

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