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DALLA CRISI DELL’AUTOMOTIVE ALLA LOTTA SOCIALE CONTRO L’AUTORITARISMO di Novordo

Il settore automobilistico è uno dei pilastri dell’economia mondiale, con un impatto significativo su molteplici livelli, basti pensare che nel 2022, l’industria automobilistica ha rappresentato circa il 5% del PIL globale e ancora di più in Paesi produttori come Germania, Stati Uniti, Giappone e Italia.

Oltre 14 milioni di persone sono impiegate direttamente nell’industria automobilistica nel mondo, con milioni di posti di lavoro legati indirettamente alla catena di fornitura, trasporti e commercio.

Il settore è un motore di innovazione, spingendo lo sviluppo di tecnologie avanzate come veicoli elettrici, guida autonoma e soluzioni di mobilità connessa.

Essendo un’industria fortemente legata a risorse naturali e infrastrutture, l’automotive è considerato strategico per i settori industriale ed energetico di ogni Paese.

In questo contesto, qualsiasi crisi del settore automobilistico ha ripercussioni a catena sull’economia globale, ma cerchiamo di andare con ordine, guardando a casa nostra.

Stellantis è un gruppo multinazionale leader nel settore automotive con sede legale in Amsterdam, sede operativa a Parigi, e forte presenza in Italia e negli Stati Uniti. Il gruppo include 14 marchi automobilistici iconici, tra cui:

  • FCA: Fiat, Jeep, Dodge, Chrysler, Alfa Romeo, Maserati, Lancia, Ram.
  • PSA: Peugeot, Citroën, Opel, Vauxhall, DS Automobiles.

La creazione di Stellantis, completata ufficialmente il 16 gennaio 2021, è stata il risultato della fusione tra Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e PSA Group. Questa operazione ha dato vita al quarto produttore automobilistico al mondo per volume di veicoli venduti e al terzo per fatturato.

Fino al 1° dicembre 2024 il CEO del colosso automobilisti era Carlos Tavares, già amministratore delegato di PSA. Presidente della società, John Elkann, erede della famiglia Agnelli e figura chiave nel consolidamento della fusione.

Entrambe le società, FCA e PSA, avevano bisogno di rispondere alle pressioni del mercato automobilistico globale, caratterizzato da una crescente competizione, dalla transizione verso l’elettrificazione e dalla necessità di ridurre le emissioni di CO₂. La fusione mirava a generare circa 5 miliardi di euro all’anno di risparmi grazie a sinergie industriali e operative delle due società, senza chiudere stabilimenti. La nuova società, quindi, si è proposta di accelerare nello sviluppo di veicoli elettrici e connessi, sfruttando le competenze e i mercati già consolidati di PSA e FCA.

Tra gli obiettivi iniziali c’erano quelli di sfruttare i mercati forti di FCA in Nord America e Italia e quelli di PSA in Europa; lanciare decine di modelli elettrici entro il 2030; migliorare l’efficienza produttiva e incrementare i margini di profitto, particolarmente nei mercati più complessi come quello europeo.

La pandemia da COVID-19 ha avuto, tra l’altro, un impatto devastante sull’industria automobilistica globale, con effetti diretti e indiretti. Ricordiamo, infatti, che durante i lockdown del 2020 e 2021, molti stabilimenti automobilistici sono stati costretti a fermarsi, interrompendo la catena di approvvigionamento e accumulando ritardi nella produzione.

Il costo eccessivo dei veicoli, la riduzione del reddito disponibile dei lavoratori e l’incertezza economica hanno portato molti consumatori a posticipare o ad annullare l’acquisto di nuovi veicoli. Il conseguente aumento della domanda per veicoli usati e la crescita del settore della mobilità condivisa hanno ulteriormente ridotto le vendite di veicoli nuovi.

A questo si unisce la carenza globale di semiconduttori, che è stata una delle principali problematiche per l’industria automobilistica. Infatti, sembra che la pandemia abbia causato una riallocazione della produzione di semiconduttori verso l’elettronica di consumo (smartphone, computer), mentre la domanda automobilistica è crollata temporaneamente. Al ritorno della domanda, le case automobilistiche si sono trovate in difficoltà a reperire chip.

Questa carenza sembra abbia indotto Stellantis, e altri produttori, a ridurre la produzione di veicoli, con milioni di auto in meno completate nel 2021-2023.

Inoltre, le normative ambientali e la crescente consapevolezza verso la sostenibilità hanno accelerato il passaggio ai veicoli elettrici (EV), comportando costi elevati di trasformazione. Stellantis, come altre case automobilistiche, avrebbe dovuto già investire miliardi di euro per convertire la produzione, sviluppare nuove piattaforme e creare infrastrutture per la ricarica dei veicoli. Cosa che non è accaduta.

Il ritardo segnato da Stellantis è stato ancora più rilevante, e grave, si si considera che il mercato dei veicoli elettrici è sempre più competitivo. Tra i competitor del settore, Tesla, del famigerato Elon Musk, mantiene una posizione di leadership grazie alla sua tecnologia avanzata e ai costi relativamente bassi, ma soprattutto i produttori cinesi come BYD e NIO stanno conquistando quote di mercato con veicoli sempre più competitivi e meno costosi.

Quindi, Stellantis (e altri) si è trovata e si trova a competere sia con queste nuove realtà, sia con i produttori consolidati, cercando inefficacemente (per ora) di colmare il divario tecnologico.

Tutto questo ha avuto come conseguenza che, in mercati chiave come Francia e Italia, la multinazionale ha registrato un calo significativo delle vendite a causa della contrazione della domanda e delle difficoltà economiche. Nonostante la forza dei marchi Jeep e Ram, Stellantis ha perso quote di mercato nel segmento dei pick-up e SUV, in parte per la concorrenza crescente e i ritardi produttivi.

Dicevamo che la carenza di semiconduttori e altri componenti critici ha causato frequenti stop agli impianti produttivi. Ad esempio, stabilimenti italiani come quello di Melfi, dove gli operai, nella migliore delle ipotesi, hanno lavorato in media quattro giorni al mese, hanno subito rallentamenti o chiusure temporanee. Inoltre, Stellantis ha dovuto ridimensionare le operazioni in diversi siti, aumentando i rischi di esuberi. La gestione della crisi ha portato a tensioni con i sindacati, che hanno denunciato una mancanza di piani chiari per la tutela dei lavoratori.

Questo è quanto, sommariamente, riporta la cronaca “ufficiale” in merito alla “crisi di Stellantis”.

Quello che, invece, raramente si dice è che questa crisi dell’automotive è soprattutto crisi di sovraproduzione. E ci risiamo. Questa crisi di sovraproduzione è soprattutto accumulazione di immensi profitti nelle tasche di pochi azionisti multimiliardari.

“Dalla fondazione nel 2021, Stellantis ha distribuito ai soci circa 23 miliardi, di cui oltre 17 miliardi di dividendi (incluse le azioni Faurecia[1]) e riacquisti azionari per 5,5 miliardi. Exor[2], primo socio della casa con i 14,9%, ha incassato nel giro di quattro anni una maxi-cedola di quasi 3 miliardi, senza contare i benefici dei buyback effettuati e annunciati da Stellantis”[3].

Contemporaneamente, mentre i ricchi azionisti diventavano ancora più ricchi, diversi stabilimenti italiani di Stellantis, come quelli di Melfi, Pomigliano d’Arco, Mirafiori, Cassino e Atessa, sono stati colpiti da una drastica riduzione delle ore lavorative. Nel 2024 la cassa integrazione ordinaria e straordinaria ha riguardato migliaia di operai e lavoratori dipendenti, un trend che certamente continuerà anche nel 2025.

In alcuni casi, Stellantis ha iniziato a proporre incentivi per il prepensionamento o l’uscita volontaria (riducendo il personale di circa 13.000 unità), alimentando reali preoccupazioni sui possibili licenziamenti futuri, specialmente nelle regioni del Mezzogiorno già colpite dalla disoccupazione strutturale.

Nei reparti produttivi rimasti attivi, gli operai riportano un incremento dei ritmi produttivi per compensare i turni ridotti o le interruzioni causate dalla carenza di componenti. Questo ha portato a un aumento dello stress e, in alcuni casi, a incidenti sul lavoro.

I continui cambiamenti nei piani produttivi incerti ed indefiniti di Stellantis hanno generato incertezza tra i lavoratori, che spesso non sanno quali modelli verranno prodotti nei loro stabilimenti né per quanto tempo.

Come se non bastasse, il calo della produzione ha avuto un impatto devastante sulle economie locali fortemente dipendenti dagli stabilimenti Stellantis. Ad esempio, a Melfi, che ospita uno degli stabilimenti più grandi del gruppo, le attività economiche della zona, come piccole imprese e servizi, stanno soffrendo a causa del drastico calo di redditi e consumi.

Situazioni simili si registrano a Pomigliano, dove migliaia di famiglie dipendono direttamente o indirettamente dall’attività dello stabilimento.

Come conseguenza i fornitori di componenti e i subappaltatori italiani hanno subito un duro colpo, con licenziamenti e chiusure di piccole imprese nella filiera.

I sindacati hanno organizzato scioperi e mobilitazioni per protestare contro le politiche di Stellantis, chiedendo garanzie occupazionali a lungo termine, maggiore trasparenza sui piani industriali e investimenti significativi per la conversione degli stabilimenti alla produzione di veicoli elettrici. Hanno accusato Stellantis di non avere un piano strategico chiaro per i lavoratori italiani e di privilegiare altri mercati, come quello francese, spagnolo o statunitense.

Il subalterno governo Meloni ha avviato colloqui con la multinazionale per garantire il mantenimento dei posti di lavoro e la continuità produttiva, ma senza avere garanzie certe sul mantenimento dei livelli occupazionali.

A portare finalmente alle cronache nazionali la “crisi Stellantis” (raramente approfondita dalle varie testate giornalistiche nostrane, come se tutto andasse a gonfie vele) è stata la vicenda dei licenziamenti di Trasnova, azienda di logistica legata al gruppo Stellantis, che ha avuto un’evoluzione significativa negli ultimi mesi del 2024. Trasnova, con sede principale a Cassino, opera come fornitore monocommittente per Stellantis, occupandosi della logistica e della movimentazione dei veicoli prodotti negli stabilimenti italiani del gruppo. A causa della crisi di Stellantis e della conseguente riduzione della produzione, Trasnova ha affrontato difficoltà economiche che l’hanno portata ad attivare la cassa integrazione per parte dei suoi circa 400 dipendenti.

La situazione è peggiorata quando Stellantis ha comunicato l’intenzione di non rinnovare il contratto di fornitura con Trasnova, in scadenza il 31 dicembre 2024. Questa decisione ha portato Trasnova ad avviare, il 6 dicembre 2024, le procedure di licenziamento collettivo per 97 lavoratori distribuiti tra gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco, Mirafiori, Melfi e Piedimonte San Germano.

Anche le aziende subappaltatrici, Logitech e Tecnoservice, hanno annunciato rispettivamente 101 e 51 licenziamenti, per un totale di 249 posti di lavoro a rischio.

In risposta, i sindacati hanno organizzato manifestazioni e scioperi, in particolare davanti allo stabilimento Stellantis di Pomigliano d’Arco, per protestare contro i licenziamenti e sollecitare una soluzione. Il 10 dicembre 2024, durante un incontro presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Stellantis ha accettato di rinnovare il contratto con Trasnova per un ulteriore anno. Questo accordo ha portato al ritiro delle procedure di licenziamento da parte di Trasnova e delle aziende subappaltatrici, garantendo la salvaguardia dei 249 posti di lavoro almeno fino alla fine del 2025.

Secondo il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, questo accordo è stato “un segnale concreto di responsabilità in un momento cruciale per il settore automobilistico”. Secondo una visione critica e realistica, questo accordo è soltanto una tregua armata. Il problema si ripresenterà ugualmente se, nei prossimi dodici mesi, Stellantis non realizzerà un piano industriale che preveda la ripresa a regime della produzione in modo da garantire le commesse alle aziende dell’indotto. Trasnova potrebbe iniziare a diversificare le proprie attività per ridurre la dipendenza da un unico committente e garantire così una maggiore stabilità occupazionale per i suoi dipendenti, ma dodici mesi potrebbero non essere sufficienti.

Ad ogni modo, le ripercussioni della crisi su Stellantis e i suoi lavoratori in Italia sono profondamente preoccupanti, se non drammatiche. La perdita di posti di lavoro e il calo delle ore lavorative stanno mettendo a rischio il tessuto socio-economico di intere aree, soprattutto nel centrosud della Penisola.

Oggi, in un momento di crisi sociale, politica ed economia come quella che stiamo attraversando, ormai da più di un decennio, è complesso trovare le giuste parole d’ordine che possano indirizzare la lotta per il diritto al lavoro. Soprattutto quando i rapporti di forza in campo sono totalmente squilibrati, confermando, tra l’atro, quanto sia acuta la crisi politica che riguarda soprattutto le organizzazioni comuniste, socialiste, progressite e democratiche.

Complementarmente a questo, le politiche del governo Meloni sulla Giustizia, Autonomia differenziata, la Legge di bilancio appena approvata, l’attacco sistemico alla Costituzione nata dalla lotta di Resistenza al nazifascismo, presentate dai mezzi di comunicazione di massa (per la quasi totalità completamente proni a questo governo) con una retorica di cambiamento e attenzione agli interessi nazionali, si stanno traducendo in una gestione che accentua le disuguaglianze sociali e territoriali, mina i principi democratici fondamentali e aggrava la situazione economica dei lavoratori. Una visione di governo che sembra lontana dalle reali necessità del Paese e più orientata a soddisfare esigenze di consenso immediato, a favorire accordi miliardari, mai sottoscritti prima, con multinazionali d’oltre oceano (vedi l’affaire SpaceX del multimiliardario Elon Musk) con gravi rischi per il futuro democratico e sociale dell’Italia.

Le organizzazioni sindacali, seppur operando in un contesto così sfavorevole (ed acuito anche da contraddizioni interne gravi), riescono a mantenere un presidio di lotta e di difesa dei diritti dei lavoratori di importanza vitale, che va sostenuto e rafforzato. Va favorita e rafforzata, contestualmente, l’unità sindacale e vanno organizzate mobilitazioni ed azioni di protesta. È fondamentale educare i lavoratori sulla storia del movimento operaio e sui propri diritti. Nel “villaggio globale”, interconnesso come mai accaduto prima nella storia dell’umanità, grazie alla potenza della tecnologia, è indispensabile costruire reti di alleanze sovranazionali con tutte le altre organizzazioni sindacali europee ed unire le lotte per resistere agli attacchi feroci del capitalismo privato, facendo tesoro delle esperienze di successo.

È altrettanto importante che da queste esperienze di lotta nasca un’organizzazione politica del lavoro in grado di concretizzare le rivendicazioni della classe lavoratrice facendole diventare strutturali. È indispensabile che questa organizzazione politica non sia isolata, ma lavori alla costruzione di alleanze con tutte quelle organizzazioni sociali, politiche e culturali che già lottano contro i preoccupanti rigurgiti nazifascisti che si stanno consolidando in Italia ed in Europa. Movimenti autoritari, xenofobi e ultranazionalisti, spesso camuffati da una retorica populista e ingannevole, minacciano di erodere i pilastri fondamentali della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza.

Di fronte a questo scenario, non può e non si deve rimanere divisi. È un momento storico che richiede l’unità di tutte le forze comuniste, socialiste, progressiste e democratiche per costruire un fronte comune contro l’avanzata di queste ideologie retrograde.

La Storia ci insegna che l’unità delle forze progressiste è stata l’arma più potente contro il fascismo nel passato.

Se saremo in grado, lo sarà anche oggi.

È indispensabile che tutte le forze che si riconoscono nei valori dell’antifascismo e della giustizia sociale superino le divisioni interne, abbandonino personalismi e settarismi, e lavorino instancabilmente alla nascita di un grande Fronte Democratico. Non si tratta di rinunciare alle proprie identità, ma di trovare una sintesi comune che rafforzi la capacità di azione di tutte le forze concorrenti.

Per la pace ed il progresso dei popoli.

Per la futura umanità.

 

Note
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[1]    Faurecia è uno dei maggiori produttori di componentistica per automobili del mondo, appartenente al gruppo Stellantis.

[2]    Exor N.V. (già Exor S.p.A.) è una holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia italiana Agnelli.

[3] Stellantis, a chi sono andati i super dividendi? Tutte le cifre, agli Agnelli Elkann 3 miliardi | Corriere.it (https://www.corriere.it/economia/finanza/24_dicembre_06/stellantis-a-chi-sono-andati-i-super-dividendi-tutte-le-cifre-agli-agnelli-elkann-3-miliardi-40d49123-921c-4aeb-a751-ada573a89xlk.shtml).

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