S T A L I N G R A D O di Piero De Sanctis
Il 22 giugno del 1941, anniversario dell’invasione napoleonica del 1812 in Russia, tutto l’enorme potenziale bellico del III Reich, formato da 190 divisioni, 17 corazzate, 10 motorizzate, fu scagliato fulmineamente contro i confini dell’Unione Sovietica. Trentacinque divisioni degli Stati satelliti, slovacche, ungheresi e rumene, affiancarono quelle naziste. Seimila aerei della Luftwaffe (una vera tempesta di fuoco), precedevano l’avanzata delle forze terrestri. Solo dopo che le truppe erano penetrate in territorio russo, secondo il consueto sistema nazista, fu dato l’ultimatum. Su un fronte sterminato, dal Mar Baltico al Mar Nero, le forze suddette dilagarono distruggendo ogni cosa.
I primi sette mesi del ‘42 furono indubbiamente i più duri della guerra. L’Unione Sovietica dovette lottare da sola contro tutte le coalizioni delle armate nazifasciste, nonostante le promesse degli alleati di aprire un secondo fronte in Europa, che non arrivò mai, se non dopo due anni di guerra, con lo sbarco in Normandia del giugno 1944. Ciò consentì a Hitler di spostare, in direzione di Stalingrado, decine di divisioni nella prospettiva di occupare la zona petrolifera di Bakù. Ai primi di settembre del ‘42 i tedeschi erano nei pressi di Stalingrado. L’eroica difesa di Stalingrado è troppo nota per essere ancora descritta. Fu la resistenza accanita non di un esercito che si batteva in una lotta disperata, ma di un popolo di uomini e donne che sapevano che in quella lotta si doveva conseguire una radicale svolta nella guerra che insanguinava la loro terra e il mondo intero.
Dal 19 novembre 1942 al febbraio 1943, lungamente preparata e meditata, iniziò la grande offensiva sovietica sconvolgendo tutti i piani dei generali tedeschi e delle loro armate, le quali furono accechiate nella sacca del Don e distrutte. Circa 240 mila soldati e ufficiali tedeschi caddero tra il fiume Volga e il Don, mentre circa 91 mila furono fatti prigionieri. I generali arrestati furono 24, tra i quali, il primo generale von Paulus che ignorando l’ordine di Hitler, alzò bandiera bianca. Il Generale dell’armata Rossa Voronov comunicava a Mosca: «Eseguendo i vostri ordini le truppe del fronte del Don hanno terminato il 2 febbraio, alle ore 16 la distruzione dell’armata nemica accerchiata».
Nella grande controffensiva che travolse l’armata tedesca, furono investite anche una dozzina di divisioni italiane, ungheresi e rumene. La nostra armata, l’ARMIR, che Mussolini inviò i Russia in sostegno di quelle tedesche, cessò di esistere e i cui resti si dispersero nelle steppe ghiacciate, attanagliati dal freddo e dalla fame. Il corpo d’armata alpino, abbandonato alla sua sorte dai tedeschi, fu costretto ad una ritirata a piedi, aprendosi un varco fra continui combattimenti contro il fronte russo, di 800 km, con 40 gradi sottozero. I caduti e i dispersi dell’VIII armata furono oltre 84 mila, e i congelati 30 mila. Dopo il disastro dell’ARMIR venne quello dell’esercito italiano in Africa, e si decretò così, la fine del regime fascista.
La vittoria di Stalingrado non è solo la maggiore battaglia della Seconda guerra mondiale, ma quella che sanziona irrevocabilmente anche la fine del III Reich.
Teramo 2 febbraio 2025