L’ORIGINE DELL’OPPORTUNISMO NEL MOVIMENTO OPERAIO di Piero De Sanctis
Scriveva Pietro Secchia su Vie Nuove del 25 aprile 1947: «Tutti gli italiani al 25 aprile 1945 si sentivano partigiani, si sentivano fratelli. Nessuno voleva non esserci stato. Quel giorno sorgeva la nuova Italia e le speranze, le illusioni salivano, salivano sempre più in alto. Sono trascorsi due anni da allora, ed a solo due anni di distanza è permesso a delle canaglie, agli agenti dell’OVRA, ai ricattatori di professione, ai collaboratori dei tedeschi, alle loro prostitute ed ai loro lacchè, è permesso ai traditori, ai profittatori, agli eroi della borsa nera e del doppio gioco dei calunniatori, di infangare il movimento partigiano». Così, Pietro Secchia, con poche e vivaci pennellate, disegna la ripresa violenta della lotta di classe subito dopo il ‘45. Seguita Secchia: «Il fascismo non era morto. Il grande capitale, i grandi monopolisti e i grandi banchieri non erano scomparsi. I grandi capitalisti dei maggiori complessi industriali, della metallurgia, della chimica e del sistema finanziario, che avevano sostenuto e finanziato per tutto il ventennio il fascismo, rientrarono in possesso di tutti i mezzi di produzione e di tutti i loro privilegi e, con essi, il potere economico e politico. Il 14 luglio 1948, per mano di un sicario fascista ci fu l’attentato a Togliatti. Nei primi mesi del 1949 fu scarcerato Valerio Borghese, uno dei maggiori responsabili dei crimini di guerra, di 800 omicidi documentati, di saccheggio, razzie e incendio di interi villaggi italiani, di centinaia di partigiani seviziati e torturati e, nel contempo, iniziarono i processi ai partigiani, a Vercelli, Modena, Bologna, Grosseto, Veneto, Abruzzi e in altre regioni. La strada per l’attacco al movimento operaio e al socialismo, era aperta. La classe capitalista aveva vinto e i fascisti furono reinsediati nei posti di governo e di sottogoverno, mentre impotenti i due pertiti operai, quello comunista e quello socialista, restarono a guardare.
La classe capitalista italiana aveva appreso, dalle lotte di classe in Inghilterra e in Francia, che essa non potrà mai raggiungere il pieno dominio sociale e politico sulla nazione se non con l’aiuto della classe operaia e delle sue organizzazioni. Questa oggettiva ed inevitabile connessione tra la nascita dell’imperialismo e quella dell’opportunismo nel movimento operaio, fu oggetto di studio sia da parte di Marx che di Engels a partire dalla seconda metà del secolo XIX. Fu Marx che per primo notò, intorno al 1850, questi due aspetti caratteristici della lotta di classe in Inghilterra. Le altre nazioni, non avendo le sterminate colonie e gli enormi profitti non poterono approfittare sul mercato mondiale, della stessa condizione monopolistica sul mercato mondiale. Da questo studio Marx trasse la conclusione del necessario legame tra l’imperialismo e la vittoria dell’opportunismo nel movimento operaio inglese. Illuminanti sono le parole di Engels quando tratteggia il mutamento di atteggiamento politico-sociale della classe al potere: «le Trades-Unions, fino allora considerate come invenzioni del demonio, furono ora vezzeggiate e protette dai fabbricanti come istituzioni pienamente legittime e come un mezzo utile per diffondere tra gli operai “sane” dottrine economiche. Perfino gli scioperi, che prima del 1848 erano stati messi al bando, ora venivano trovati assai utili in certe occasioni…E la Carta del Popolo, un tempo così temuta, divenne ora nella sostanza il programma politico degli stessi fabbricanti che fini allora vi si erano opposti».
Nella sua lettera a Marx del 7 ottobre 1858 Engels parla dell’«effettivo progressivo imborghesimento del proletariato inglese, di modo che questa nazione, che è la più borghese di tutte sembra voglia portare le cose al punto da avere un’aristocrazia borghese e un proletariato borghese accanto alla borghesia. Si capisce, che in una nazione che sfrutta il mondo intero, ciò è in certo qual modo spiegabile». Engels, nella lettera a Marx dell’11 agosto 1881, parla delle «pessime trade-unions inglesi, che si lasciano guidare da uomini che si sono venduti». Nella lettera a Kautsky del 12 settembre 1882 Engels scrive: «Mi chiedete che cosa pensano gli operai inglesi sulla politica coloniale? Lo stesso di quel che pensano sulla politica in generale. Qui non c’è un partito operaio; ci sono soltanto conservatori e liberal-radicali e gli operai usufruiscono tranquillamente con essi del monopolio coloniale dell’Inghilterra e del suo monopolio sul mercato coloniale».
In un articolo dell’ottobre del 1916 Lenin scrive: «Il monopolio dà un sovraprofitto, cioè un’eccedenza di profitto superiore al profitto abituale dei non monopolisti. Di questo sovraprofitto i capitalisti possono sacrificarne una piccola parte per corrompere i propri operai, per creare una specie di alleanza, un’unione degli operai di una data nazione con i propri capitalisti, contro gli altri paesi…Un pugno di paesi ricchi (sono quattro in tutto, si parla, di una ricchezza veramente gigantesca: l’Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti e la Germania), questo pugno di paesi ha sviluppato i monopoli in proporzioni immense; esso riceve sovraprofitti che ammontano a centinaia e centinaia di miliardi; vive alle spalle di centinaia di milioni di abitanti degli altri paesi; lotta nel proprio seno per la spartizione di un bottino particolarmente ricco, particolarmente grasso, particolarmente tranquillo…Dal 1848 al 1868, e in parte ancora più tardi, la sola Inghilterra usufruiva del monopolio; è perciò che in essa per decina d’anni l’opportunismo poté vincere; non esistevano altri paesi che possedessero colonie ricchissime o che disponessero del monopolio industriale».
«Sulla base economica qui indicata – seguita Lenin nel medesimo articolo – le istituzioni politiche del capitalismo contemporaneo – la stampa, il parlamento, le associazioni, i congressi, ecc., creano per gli impiegati e gli operai riformisti e patriottici, rispettosi e sottomessi, elemosine e privilegi politici corrispondenti alle elemosine e ai privilegi economici. Posticini redditizi e tranquilli in un ministero e nel comitato per l’industria di guerra, nel parlamento e nelle varie commissioni, nelle redazioni di “solidi” giornali legali e nelle amministrazioni di sindacati operai non meno solidi e obbedienti alla borghesia. Il meccanismo della democrazia politica agisce nella medesima direzione. Nel nostro secolo non si può fare a meno delle elezioni, non si può fare a meno delle masse; e nell’epoca della stampa e del parlamentarismo è impossibile trascinare le masse al proprio seguito senza un sistema largamente ramificato, metodicamente applicato, solidamente attrezzato, di lusinghe, menzogne, truffe, di giochetti con paroline popolari e alla moda, di promesse – fatte a destra e a sinistra – di ogni sorta di riforme e di ogni sorta di benefici per gli operai, purché essi rinuncino alla lotta rivoluzionaria per abbattere la borghesia».
Queste parole di Marx, di Engels e di Lenin, pronunciate ieri, non parlano oggi, nel nuovo millennio, di noi? Non ci illuminano sulle motivazioni di fondo della scomparsa in Occidente dei partiti operai?
Teramo 5 marzo 2025