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LA POLITICA DI “EGEMONIA”

Domande del Pcc

1) La crisi finanziaria di questi anni ha posto le basi per una ripresa delle forze di sinistra in Occidente, che però non hanno saputo cogliere l’occasione. Come mai non si è avuto un loro rafforzamento? Come mai tante divisioni? 
2) L’avanzata delle forze populiste, come il Movimento 5 Stelle che ha recentemente vinto le elezioni a Roma e a Torino, rappresenta una minaccia per i partiti tradizionali della sinistra. Che ne pensate?
3) Quali sono gli elementi che ostacolano una cooperazione delle forze di sinistra sul piano nazionale, regionale, internazionale?
4) Attualmente la Cina sta vivendo una fase primaria di costruzione del socialismo in cui sono introdotti alcuni elementi positivi dell’economia di mercato. Per questo però  riceve critiche anche da parte dei partiti di sinistra che tendono a negare che il successo della Cina dipenda in primo luogo dal suo carattere socialista. Quale è la vostra valutazione?
5) Voi che avete seguito lo sviluppo economico della Cina,  avete capito che noi abbiamo introdotto qualche elemento di capitalismo di libero mercato e usato consapevolmente la scienza per il massimo sviluppo delle forze produttive sociali?
6) Anche in Cina il pensiero di Antonio Gramsci è molto studiato. Quali apporti teorici e pratici del suo pensiero ci possono essere utili per aiutare la costruzione del socialismo in Cina?

Risposta del Cge

L’Italia arriva alla fase monopolista in ritardo rispetto alle nazioni più sviluppate dell’Occidente.
Essa conosce negli ultimi anni del XIX secolo e nei primi del XX un periodo di grande sviluppo industriale e la formazione dei primi consorzi monopolistici come la FIAT di Torino nel settore auto, l’ILVA e la TERNI nel settore del ferro e dell’acciaio, l’ANSALDO di Genova nel settore metalmeccanico, la LANEROSSI nel settore tessile.
Questi stessi anni vedono l’ascesa del movimento operaio, con la formazione, nel 1891, delle prime Camere del Lavoro a Milano, Piacenza e Torino; nel 1901 nascono le Federazioni sindacali dei metallurgici, dei tessili e della chimica e il 1 ottobre 1906 sorge la CGdL.
Nel 1892 si costituisce il Partito Socialista.
In concomitanza a questo rapido sviluppo delle forze produttive capitalistiche ed inesorabilmente connesse con esso, l’Italia e tutta l’Europa, Stati Uniti compresi, conoscono anche il grande potere distruttivo delle crisi, come la più lunga e devastante del 1873.
Nel 1882 la crisi riprende con particolare violenza negli Stati Uniti che in quel periodo occupano già il primo posto nella produzione mondiale.
Nel 1890 le crisi cicliche rinvestono tutta l’Europa.
L’ultima crisi del XIX secolo scoppia nel 1900.
Segue un periodo di accelerata concentrazione della produzione industriale e del sistema bancario con il fallimento delle piccole e medie imprese a tutto vantaggio delle grosse compagnie.
Si formano grandi masse di disoccupati e nelle campagne regnano la miseria e la fame.
Le previsioni di Marx sull’inevitabilità delle crisi periodiche del capitalismo dovute alle contraddizioni ineliminabili tra i rapporti di produzione e le forze produttive, ora appaiono chiaramente alla luce del sole.
Nonostante il potere della finanza si estende ormai a livelli globali dominando economie, mercati e la Borsa, essa, tuttavia, ha nelle crisi soltanto una funzione secondaria poiché, come dice Marx La causa ultima di tutte le crisi effettive è pur sempre la povertà e la limitazione di consumo delle masse.
L’espansione dei mercati – dice Engels – non può andare di pari passo con quella della produzione. La collisione diventa inevitabile e poiché non può presentare alcuna soluzione sino a che non manda a pezzi lo stesso modo di produzione capitalistico, diventa periodica. La produzione capitalistica genera un circolo vizioso.
Eppure, ancora oggi, si suole attribuire l’origine delle crisi alla mancanza di norme o al loro non rispetto da parte delle oligarchie finanziarie, o da un incidente di percorso nella crescita fisiologica dei mercati finanziari, ecc.
Così si diceva, con alcune variazioni sul tema, fin dal 1825, quando in Inghilterra scoppia la prima crisi industriale di sovrapproduzione, che abbraccia tutti i settori dell’economia, così si dice ai nostri giorni, quando sia Reagan che la Thatcher credono di poter superare le due crisi cicliche di sovrapproduzione relativa del 1969-71 e del 1974-75, inaugurando una politica, suggerita dalla teoria del monetarismo, di attacco allo stato sociale, di smobilitazione dell’intervento dello Stato nell’economia e di riduzione dei salari.
I capitalisti si sono sempre illusi di poter superare le crisi con l’introduzione di macchine operatrici sempre più potenti e perfette e con una organizzazione del lavoro più razionale.
La produzione a catena, introdotta per la prima volta da Henry Ford negli anni 1912-13, raggiunge una forma perfezionata con l’impiego di catene di lavorazione nelle operazioni tecnologiche e nel movimento dei pezzi.
Queste innovazioni diventano un mezzo d’intensificazione dello sfruttamento degli operai con l’accelerazione dei ritmi di lavoro.
La minuta suddivisione delle operazioni, l’accelerazione del moto dei nastri trasportatori, obbligano l’operaio a compiere le operazioni in tempi sempre più rapidi, mentre la semplificazione delle operazioni permette agli imprenditori d’impiegare operai scarsamente qualificati con salari più bassi.
Già Marx, nel capitolo dedicato alla legge della caduta tendenziale del saggio del profitto, analizzando le cause che contrastano o neutralizzano l’azione di tale legge, ne elenca sei: 1) aumento del grado di sfruttamento del lavoro: prolungamento della giornata lavorativa e l’intensificazione del lavoro stesso; 2) riduzione del salario al di sotto del suo valore, ossia al di sotto del valore della forza-lavoro; 3) diminuzione del prezzo degli elementi del capitale costante; 4) la sovrappopolazione relativa; 5) il commercio estero; 6) l’accrescimento del capitale azionario.
Quindi sia Teylor che Ford non fanno altro che utilizzare queste indicazioni di Marx al fine di tenere sotto controllo la caduta tendenziale del saggio del profitto.
A tale proposito Gramsci dice: Il mezzo più efficace dei capitalisti singoli per sfuggire alla legge della caduta del saggio del profitto è quello di introdurre incessantemente nuove modificazioni progressive in tutti i campi del lavoro e della produzione……Tutta l’attività industriale di Henry Ford si può studiare da questo punto di vista: una lotta continua, incessante per sfuggire alla legge della caduta del saggio del profitto, mantenendo una posizione di superiorità sui concorrenti. Il Ford è dovuto uscire dal campo strettamente industriale della produzione per organizzare anche i trasporti e la distribuzione della sua merce, determinando così una distribuzione della massa del plusvalore più favorevole all’industriale produttore.
Ma la legge in questione torna puntualmente a farsi sentire non appena cessa la superiorità del singolo industriale sugli altri concorrenti.
Infatti a nulla valgono la messa in campo di tutte le misure suggerite dall’ingegnere Teylor per scongiurare il Grande crollo del 1929, poiché la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto è un’espressione peculiare al modo di produzione capitalistico.
Soltanto in una economia non anarchica, ma pianificata secondo i reali e concreti bisogni popolari, è possibile evitare le crisi periodiche del capitalismo, come è stato storicamente dimostrato dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e dalla Rivoluzione cinese del 1949.
La diffusione del pensiero di Marx ed Engels in Europa occidentale non avviene tanto sui loro testi, che offrono una grande difficoltà di apprendimento anche tra gli intellettuali più avanzati, quanto sugli scritti di sedicenti marxisti, cioè su opere di volgarizzazione schematiche, dogmatiche e mistificate.
In Germania l’attività divulgativa la svolgono August Bebel, Bernstein e soprattutto Kautsky (fondatori della teoria revisionista della II Internazionale), i quali cercano di “revisionare” il marxismo per renderlo accettabile alla borghesia dominante, sostituendo la teoria rivoluzionaria di Marx col riformismo borghese.
In Francia si fa strada un revisionismo di segno opposto, con il sindacalismo-rivoluzionario di Giorgio Sorel, mentre in Inghilterra Giovanni Stuard Mill cerca di conciliare gli interessi dei capitalisti con quelli del proletariato.
In Italia il positivismo da una parte e il neoidealismo crociano dall’altra, hanno un ruolo assai importante influenzando anche i dirigenti del movimento operaio, tra i quali lo stesso Turati.
In Europa, emerge un’interpretazione superficiale del pensiero di Marx, le cui tracce ancora sopravvivono, e la fede in una sorta di evoluzionismo che da per scontato il trionfo del socialismo, come se ciò dovesse essere il risultato di una legge di natura.
Ne sono un esempio la Teoria del crollo e la Teoria dell’impoverimento di Bernstein, impunemente attribuite a Marx e a Engels.
Unica eccezione è il pensiero di Antonio Labriola, una grande figura di studioso serio e acuto, tutt’ora semisconosciuto nell’ambito della cultura italiana europea.
La produzione teorica essenziale del Labriola si compone di tre saggi: In memoria del Manifesto dei Comunisti, Del materialismo storico, Discorrendo di socialismo e di filosofia.
Questi saggi sono dei classici della tradizione marxista non solo italiana ed assumono, col passare del tempo, un peso sempre maggiore.
Di fronte al grande movimento di massa dei Fasci siciliani, organizzazione dei contadini meridionali che nel 1893-94 si diffonde a macchia d’olio sotto la guida di personalità di orientamento socialista, Engels suggerisce al Partito socialista italiano di appoggiare il movimento, riproponendo una tattica condivisa dal Labriola, già espressa nel Manifesto del partito comunista del 1848.
Comunque sia, al momento della loro repressione, la Kuliscioff e Turati chiedono ad Engels che fare, il quale risponde con la famosa lettera a Turati del 26 gennaio 1894 (lettera pubblicata dalla nostra rivista Gramsci n.15, gennaio 2011) consigliandoli di evitare una critica puramente negativa dei partiti “affini” e prospettando la possibilità di una alleanza dei socialisti con i radicali e i repubblicani per l’instaurazione di un regime democratico borghese possibilmente repubblicano.
Tuttavia, il III Congresso nazionale del Partito socialista italiano, tenuto clandestinamente a Parma nel gennaio del 1895, ribadisce, con 34 voti favorevoli e 20 contrari, la tattica intransigente e settaria che fu approvata dal Congresso, ma aspramente criticata da Engels.
Ecco i principali insegnamenti dei maestri del socialismo europeo.
Nel Manifesto del partito comunista si legge: I comunisti finalmente lavorano all’unione e all’intesa dei partiti democratici di tutti i paesi; durante la rivoluzione tedesca del 1848, Marx ed Engels seguono la tattica basata proprio sulla lotta per l’unità di tutte le forze democratiche della Germania; al II Congresso dell’Internazionale comunista di Mosca Lenin disse al compagno G.M. Serrati: Fate la scissione da Turati e dal riformismo e poi fate un’alleanza col partito di Turati, se credete ciò necessario ai fini della rivoluzione.
Con queste poche parole Lenin riassume tutta la tattica rivoluzionaria dell’Internazionale comunista sulle scissioni e sul fronte unico, ignorata dallo stesso Turati.
Su questo argomento, fondamentale per la sua concezione di Egemonia, su L’Unità del 24 febbraio 1926  Gramsci ritorna autocriticamente, con il suo articolo Cinque anni di vita del partito affermando che: Dovevamo cioè, come era indispensabile e storicamente necessario, separarci non solo dal riformismo, ma anche dal massimalismo che in realtà rappresentava e rappresenta l’opportunismo tipico italiano nel movimento operaio; ma dopo di ciò e pur continuando la lotta ideologica e organizzativa contro di essi, cercare di fare un’alleanza contro la reazione.
Un Fronte democratico riproposto da Gramsci, in occasione dell’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, lottando per la costituzione di un organismo rappresentativo e direttivo di tutte le correnti antifasciste, facente appello all’azione diretta del popolo italiano.
E’ noto che il capitalismo italiano, definito da Lenin il più straccione d’Europa, giunge al potere dividendolo con i grandi agrari del sud, sottoponendo le masse urbane dei lavoratori e dei contadini ad un doppio sfruttamento: quello industriale del nord e quello medievale del sud.

La borghesia settentrionale – dice Gramsci nella Questione meridionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento…Il proletariato può diventare classe dirigente e dominante nella misura in cui riesce a creare un sistema di alleanze di classe che gli permetta di mobilitare contro il capitalismo e lo Stato borghese la maggioranza della popolazione lavoratrice.
L’incomprensione della politica di egemonia di Gramsci da parte dei nascenti partiti comunisti, dominati nella pratica da forme di settarismo ed estremismo infantile e nella teoria da filosofie neoidealistiche, costituisce l’elemento determinante del fallimento della rivoluzione socialista in Europa Occidentale.
L’azione di Gramsci per portare il Partito comunista d’Italia, nato nel gennaio del 1921,  fuori dalle secche del settarismo di Bordiga termina nel 1924.
Due anni dopo lo arresta la polizia fascista.
Durante il Processone, intentato dal regime mussoliniano contro il neonato gruppo dirigente del Partito comunista d’Italia, nell’udienza del 2 giugno 1928 il Pubblico ministero svolge una violenta requisitoria contro Gramsci e la conclude con le seguenti parole: Per vent’anni, dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare.
Il suo contributo fondamentale è l’approfondimento teorico del concetto di Egemonia.
Una teoria coerente e unitaria della storia umana e della storia naturale, in cui la politica e l’economia, la scienza e l’arte della politica, la scienza e la politica economica, la struttura e la sovrastruttura, si annodano in unità organica.
Sua è la distinzione tra ideologie storicamente organiche, che sono cioè necessarie ad una certa struttura, e ideologie arbitrarie inconsistenti.
In quanto storicamente necessarie – dice Gramsci – esse hanno una validità “psicologica”, esse “organizzano” le masse umane, formano il terreno in cui gli uomini si muovono, acquistano coscienza della loro posizione, lottano, ecc. In quanto “arbitrarie” non creano altro che “movimenti” individuali, polemiche, ecc (non sono completamenti inutili neanche esse, perché sono come l’errore che si contrappone alla verità e l’afferma).
Per Marx una persuasione popolare ha la stessa energia di una forza materiale.
Di qui la necessità di elaborare un complesso apparato ideale, morale e culturale che i comunisti debbono saper costruire con grande impegno e cura: formazione politica sistematica, grande attenzione alla scuola, riviste di ogni tipo, case editrici, autonomi mezzi di comunicazione di massa, ecc.
L’analisi di queste due ultime considerazioni porta Gramsci a rafforzare la concezione del Blocco storico, in cui appunto le forze materiali sono il contenuto e le ideologie la forma, poiché le forze materiali non sarebbero concepibili storicamente senza forma e le ideologie sarebbero ghiribizzi individuali senza le forze materiali.
Ed ancora: La filosofia del materialismo storico è antitetica a questa cattolica: il materialismo storico non tende a mantenere i “semplici” nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma invece a condurli a una concezione superiore della vita. Se afferma l’esigenza del contatto tra intellettuali e semplici non è per limitare l’attività scientifica e per mantenere una unità al basso livello delle masse, ma appunto per costruire un blocco intellettuale-morale che renda politicamente possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi intellettuali.
Oggi Gramsci è amato e studiato in tutto il mondo per le sue innumerevoli intuizioni, per la sua difesa e approfondimento della filosofia del materialismo storico organico, per la teoria dell’Egemonia, per le sue analisi sull’ americanismo e sul fordismo, per essere stato, soprattutto, un grande esempio di vita spirituale e morale.
Nel 1926 Gramsci così approfondisce la questione: La linea leninista consiste nel lottare per l’unità del partito, e non solo per la unità esteriore, ma per quella un po’ più intima che consiste nel non esserci nel partito due linee politiche completamente divergenti in tutte le questioni. Non solo nei nostri paesi, per ciò che riguarda la questione ideologica e politica dell’Internazionale, ma anche in Russia, per ciò che riguarda l’egemonia del proletariato e cioè il contenuto sociale dello Stato, l’unità del partito è condizione esistenziale.
Attualmente in tutto il mondo ci sono oltre 130 partiti comunisti, per un totale di circa 100 milioni di iscritti, di cui 93 milioni nei paesi socialisti così distribuiti: 85 milioni in Cina, 4 milioni in Corea del Nord, 3 milioni in Vietnam, 1 milione a Cuba. Nei paesi capitalistici ci sono oltre 120 partiti comunisti, per un totale di circa 8 milioni di iscritti (https://www.centrogramsci.it/documenti/letture/liuchangchun.htm).
In Europa occidentale, dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e la guerra di Liberazione nazionale contro il nazifascismo, vinta dalla classe operaia in alleanza con tutte le forze democratiche, si aprono grandi speranze per una trasformazione in senso socialista.
Ma le stragi delle popolazioni civili del 6 e 9 agosto del 1945 di Hiroshima e Nagasaki ad opera del complesso militare-industriale monopolista e l’inizio della Guerra Fredda del 5 marzo 1946, la divisione del mondo in blocchi statalisti contrapposti, la distruzione dell’Urss e delle Democrazie Popolari, errori profondi e ripetuti da parte di settori dirigenti di partiti comunisti, il ritorno ad una concezione di gretto nazionalismo e a forme di sterile economicismo, indeboliscono e sfiduciano le organizzazioni e i partiti di sinistra spingendo verso una comune e crescente diaspora.
La guerrafondaia restaurazione monopolista favorisce il revisionismo moderno cioè la presunzione governante dell’intellettualismo piccolo-borghese e spinge nella passività la funzione storica della classe operaia.
In Europa occidentale, la classe operaia e i comunisti lottano per costruire e rafforzare i Consigli, i partiti e i sindacati del proletariato e dei suoi alleati, per salvaguardare la pace e lo sviluppo, per strappare ai monopolisti il potere economico e politico, per affermare la loro egemonia e per costruire lo Stato operaio.
Questa importante lotta della classe operaia, dei comunisti e dei loro alleati democratici in Europa occidentale, avviene in una crescente egemonia del socialismo sul processo storico di sviluppo della società internazionale e con il sostegno della Repubblica popolare cinese e dei restanti paesi socialisti e progressisti come i Brics.
Una funzione storica di egemonia che nel corso del Novecento svolgono la Rivoluzione d’Ottobre e la coalizione democratica contro il nazifascismo guidata dall’Unione sovietica.
La Repubblica popolare cinese conosce, a partire dagli anni ‘80, un rapido sviluppo diventando la seconda economia del mondo grazie alla stretta collaborazione tra le forze produttive dell’economia statale e quelle private, con l’egemonia del Partito comunista cinese.
L’introduzione di elementi di mercato nell’economia socialista genera una crescita accelerata della produzione dei beni materiali e delle infrastrutture, migliorando le condizioni di vita e di lavoro di centinaia di milioni di persone.
Lo Tsunami dell’attuale crisi monopolista, che abbattutosi sui paesi capitalistici, infrange le proprie ondate sulle frontiere della Cina popolare la quale, in ragione della sua fase primaria di costruzione del socialismo, registra enormi sviluppi produttivi e riduce le diseguaglianze tra le classi.
Così come nell’Unione Sovietica, negli anni della crisi monopolista dell’Occidente del 1929, dal 1930 al 1933 la produzione triplica aumentando del 201%, negli Stati Uniti scende quasi della metà.
L’utilizzo su larga scala delle conquiste della scienza e della tecnica, inoltre, permette la costruzione di una rete Internet (https://www.centrogramsci.it/documenti/letture/internet.htm) che copre tutta la Cina, dimostrando, nella pratica, la verità dell’affermazione di Marx, contenuta nella prefazione del 1859 Per la critica dell’economia politica, che dice: Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dar corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentreranno mai, prima che siano maturate,  in seno alla vecchia società, le condizioni materiali della loro esistenza.
La Repubblica popolare cinese e il Pcc sono attualmente impegnati a realizzare il 13° Piano quinquennale.
Una epocale opera di trasformazione della Cina che la conduce a diventare una grande potenza socialista in difesa del proletariato mondiale, per lo sviluppo, per la pace e l’Egemonia del socialismo.


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