DUECENTO ANNI DI LOTTE PER IL SOCIALISMO di Piero de Sanctis
Karl Marx: nell’anniversario del duecentesimo della nascita
Il 5 maggio 2018 ricorre il duecentesimo anniversario della nascita della «più grande mente dell’epoca nostra». Karl Marx (5 maggio 1818 – 14 marzo 1883) è senza dubbio il pensatore più discusso nel mondo contemporaneo, e questo è già un indice di quanto profonda sia la traccia da lui lasciata nella storia. Fu l’uomo più odiato e calunniato del suo tempo. Egli per primo ha dato al socialismo e al movimento operaio una base scientifica. Fu infatti uomo di profonda cultura, versato in ogni ramo del sapere, non sdegnoso di ricerche pazienti e perfino erudite che abbracciavano il diritto, la storia, la filosofia, l’economia, la matematica e la letteratura antica.
Ben presto in lotta contro le censure e i governi, dirige riviste e giornali (al problema della libertà di stampa fu dedicato il primo articolo sulla Rheinische Zeitung 1842, il Vorwärts di Parigi 1844, la Deutsche Brüsseler Zeitung 1847, la Neue Rheinische Zeitung 1848, la New York Tribune 1852) di indirizzo democratico e rivoluzionario che finiscono regolarmente con l’essere soppressi. Prende parte a tutti i moti rivoluzionari del suo tempo (fondazione della Lega dei Comunisti 1847, Manifesto del Partito Comunista 1848 ), e si fa espellere da ogni paese in cui prende provvisoriamente dimora.
Spentisi i moti insurrezionali del 1848, trovò finalmente rifugio a Londra dove visse con la moglie e i figli in autentica miseria, dedicandosi interamente alla elaborazione delle sue teorie, soprattutto nel campo storico-politico ed economico. Solo l’aiuto disinteressato e generoso del suo grande amico F. Engels gli permise di non soccombere ai disagi della povertà. Dall’esilio londinese seguiva attentamente gli sviluppi della politica mondiale e del movimento operaio. Egli fu l’anima e il cervello della Prima Internazionale per dare alla classe operaia una tattica unitaria di lotta. Il conflitto teorico e pratico tra marxismo e anarchismo, che si concluse con la cacciata dei bakuninisti dall’Associazione Internazionale dei Lavoratori nel 1872, ebbe un’importanza eccezionale per il movimento operaio: il superamento delle concezioni anarchiche erano infatti indispensabili per la definitiva eliminazione delle sette, per l’affermazione del socialismo organizzato sulle saldi base del marxismo e la creazione dei partiti politici nazionali di massa della classe operaia. Nell’indirizzo inaugurale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, Marx traccia un panorama storico della situazione della classe operaia negli ultimi due decenni e dimostra come la burrascosa crescita del capitalismo, dopo il 1948, non abbia migliorato la posizione delle vaste masse operaie.
La teoria di Marx è il materialismo storico. Attraverso vasti studi e attraverso la propria esperienza politica egli arrivò alla conclusione che tutta la storia finora esistita è storia di lotte di classe, «che in tutte le lotte politiche, siano esse semplici o complicate, si tratta soltanto del dominio sociale e politico di classi sociali, della difesa di questo dominio da parte delle classi vecchie, e della conquista di esso da parte delle nuove classi che si presentano sulla scena.» (Engels). Le classi sono legate ai modi della produzione e dello scambio. Conoscendo la situazione economica di una società, ovvero la sua anatomia, i fenomeni storici che in essa hanno luogo vengono spiegati chiaramente. La struttura economica è un elemento che condiziona ogni aspetto ideologico della sovrastruttura. Politica, diritto, religione, arte, filosofia, nascono sulla base di concreti rapporti sociali, che sono in definitiva rapporti economici. La cultura non sta sospesa nel vuoto ma vive nella storia, e questa storia è storia di classi in lotta tra di loro.
Dall’applicazione di questo principio all’esame tra Stato e società civile, Marx ottiene un primo importante risultato: non è la società civile, considerata da Hegel la sfera dei rapporti economico-materiali, ad essere determinata dallo Stato, ma al contrario lo Stato è determinato dalla società civile, e che l’anatomia della società civile va ricercata nell’economia politica. Con ciò Marx «incominciava appena a diventare Marx, cioè il fondatore del “materialismo moderno”, immensamente più ricco di contenuto e incomparabilmente più coerente di tutte le precedenti forme di materialismo.» (Lenin).
Nell’ottobre del 1843 Marx e la moglie Jenny von Westphalen (si erano sposati nel giugno dello stesso anno) si trasferirono a Parigi per l’edizione di una rivista organo dei democratici tedeschi e francesi. La fama rivoluzionaria di Parigi non era soltanto legata alla grande Rivoluzione francese. Parigi era diventata la sede dei movimenti di una nuova classe di rivoluzionari: il proletariato. Dopo la rivoluzione del luglio 1830, nel cui corso il proletariato parigino si affacciò per la prima volta alla ribalta storica, i quartieri operai divennero la roccaforte degli operai, artigiani e la schiera più avanzata degli intellettuali. La diretta conoscenza della vita e delle lotte degli operai francesi, lo studio critico dei classici dell’economia borghese Adamo Smith e David Ricardo, le opere dei grandi utopisti, resero possibile il definitivo passaggio di Marx dall’idealismo al materialismo moderno, dal democraticismo rivoluzionario al socialismo. A Parigi avvenne lo storico incontro con Engel che segnò l’inizio dell’amicizia tra i due geni. «Le antiche leggende tramandano diversi esempi commoventi di amicizia. Il proletariato europeo può dire che la sua scienza è stata creata da due scienziati e militanti i cui rapporti personali superano tutte le più commoventi leggende antiche sull’amicizia tra gli uomini.» (Lenin).
Il primo lavoro comune fu la stesura, nel febbraio del 1845, del libro sotto l’ironica denominazione, La sacra famiglia, ovvero Critica della critica critica. Contro Bruno Bauer e consorti. La gran parte di questo lavoro fu scritta da Marx utilizzando i risultati delle sue precedenti ricerche. In queste parti del libro Marx si rivela un maestro di quella critica costruttiva che batte la vuota immaginazione ideologica per mezzo della realtà positiva, che mentre distrugge crea, mentre demolisce ricostruisce. Critica poi le soggettive concezioni idealistiche di Bauer e soci i quali sostenevano che soltanto le grandi personalità fanno la storia, alle quali contrappone uno dei principi più importanti del materialismo storico: non i singoli eroi, ma le masse popolari sono i veri artefici della storia.
Espulso da Parigi, Marx si trasferì a Bruxelles con la famiglia dove, nella primavera de 1845, fu raggiunto da Engels e insieme andarono in Inghilterra per studi e ricerche, dove rimasero per sei settimane. Sempre nella primavera del 1845 Marx abbozzò sul suo taccuino le celebri XI tesi su Feuerbch. Appena tornati dall’Inghilterra si accinsero ad un lavoro comune, L’Ideologia tedesca, contro la filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, Bauer e Stirner e contro il cosiddetto vero socialismo (una tendenza filosofico-letteraria assai diffusa tra la piccola borghesia tedesca), così battezzato da Ruge e sostenuto da uomini come Moses Hess, Harl Grün, Otto Lüning e altri. «Noi decidemmo – disse più tardi Marx – di mettere in chiaro, con un lavoro comune, il contrasto tra il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica». Ne L’Ideologia tedesca viene delineato per la prima volta il principio basilare del materialismo storico e dialettico riguardo al ruolo determinante che la produzione svolge nella vita della società e nella sua storia. Tuttavia Marx sentiva mancare nel materialismo di Feuerbach quello che, ancora studente, aveva sentito mancare in Democrito, il precursore del materialismo: e cioè il «principio energetico»; diceva che questo era il difetto di ogni materialismo esistito fino ad allora, cioè quello di concepire il mondo sensibile e la realtà soltanto sotto forma di intuizione o di oggetto, ma non come attività sensibile dell’uomo, come attività pratica, non soggettivamente. Perciò era accaduto che, in contrasto col materialismo, la parte attiva, era stata sviluppata dall’idealismo, ma solo astrattamente, perché l’idealismo naturalmente non conosce l’attività sensibile reale.
L’occasione storica che consentì a Marx di approfondire ulteriormente la nascente teoria del materialismo storico e dialettico, fu la pubblicazione, nel 1846, del libro del francese Proudhon Le sistème de contradictions économiques e il sottotitolo La misère de philosophie. Contro gli errori teorici, politici ed economici propagandate da Proudhon, Marx rispose con Philosophie de la Misère un libro che segna un ulteriore passo avanti nello sviluppo della dottrina rivoluzionaria del proletariato: critica le sue concezioni idealistiche e la sua distorta strumentalizzazione della dialettica hegeliana, ed espone per la prima volta in forma polemica le conclusioni delle sue ricerche economiche sul valore della merce, sul salario e la rendita fondiaria. Nel suo libro Proudhon diffondeva l’idea piccolo-borghese di una trasformazione pacifica e graduale del capitalismo eliminandone i lati «cattivi» e conservandone i lati «buoni». Il suo metodo consisteva nel conservare il lato buono e buttar via quello cattivo. Non era difficile per Marx scoprire l’inconsistenza di questo metodo. Infatti se per assurdo si divide il processo unitario dialettico in una parte buona e in una cattiva per poi buttare via quest’ultima, si finisce per eliminare e dissolvere anche la parte buona. Ecco come Marx illustra la questione: «Anche il feudalesimo aveva il suo proletariato: i servi della gleba, in cui erano racchiusi tutti i germi della borghesia. Anche nella produzione feudale giocavano elementi antagonistici; che se si vuole, possono essere ben designati come “il lato buono e il lato cattivo” del feudalesimo, senza pensare che è quello cosiddetto cattivo che finisce sempre con l’avere il sopravvento. E’ il lato cattivo a produrre il movimento che fa la storia, determinando la lotta. Se all’epoca del regime feudale, gli economisti, entusiasmati dalle virtù cavalleresche, dalla bella armonia fra i diritti e i doveri, dalla vita patriarcale delle città, dalle condizioni prospere dell’industria domestica nelle campagne, dallo sviluppo dell’industria organizzata in corporazioni, e i corpi dei consoli e maestri d’arte, ecc., infine di tutto ciò che costituisce il lato buono del feudalesimo, si fossero posti il problema di eliminare tutto ciò che offusca questo quadro – servitù, privilegi, anarchia – che cosa sarebbe avvenuto? Sarebbero stati annullati tutti gli elementi che costituivano la lotta e si sarebbe soffocato in germe lo sviluppo della borghesia. Insomma, si sarebbe posto l’assurdo problema di eliminare la storia.». L’importanza di Miseria della filosofia consiste nel fatto che, per la prima volta, le tre parti integranti della teoria rivoluzionaria dl proletariato: la filosofia, l’economia politica e il socialismo videro la luce.
Nella prima decade del dicembre del 1847 Marx tornò da Londra a Bruxelles dove si rituffò nel lavoro, occupandosi principalmente alla redazione del Manifesto del Partito comunista. Alla fine di gennaio 1848 il lavoro era terminato e fu inviato a Londra per la pubblicazione. Il Manifesto è il primo documento programmatico del comunismo scientifico in cui si fondano in una non comune ricchezza e profondità di pensiero, una potente forza logica con uno stile elegante e nitido. «In quest’opera – scrisse Lenin – vengono delineate con chiarezza e vivacità geniali la nuova concezione del mondo, il materialismo conseguente, esteso al campo della vita sociale, la dialettica, come la più completa e profonda dottrina dell’evoluzione, e la teoria della lotta di classe e della funzione storica rivoluzionaria del proletariato, creatore di una nuova società, della società comunista».
L’uscita del Manifesto coincise con l’inizio della rivoluzione francese del 24 febbraio 1848, che rovesciò la monarchia borghese di Francia di Luigi Filippo. Essa ebbe il suo contraccolpo anche a Bruxelles, ma il re Leopoldo seppe cavarsela più abilmente di quanto avesse fatto suo suocero a Parigi. Egli promise ai suoi ministri, ai suoi deputati e ai suoi borgomastri liberali di deporre la corona se la nazione lo desiderasse. Poi, tornata la calma, il re fece disperdere dai suoi soldati le assemblee popolari sulle pubbliche piazze, e scatenò la polizia alla caccia dei rifugiati stranieri. Marx fu brutalmente arrestato e qualche ora dopo fu arrestata anche la moglie Jenny che fu tenuta per una notte rinchiusa con le prostitute. Il 13 marzo scoppiò la rivoluzione a Vienna che si propagò in Ungheria e agli altri popoli oppressi dall’assolutismo austriaco. Il 18 marzo l’ondata rivoluzionaria raggiunse anche la capitale prussiana, Berlino. Si sollevarono anche le masse popolari italiane e l’armata austriaca di Radetzhy fu cacciata da Milano.
Espulso da Bruxelles subito dopo essere stato scarcerato, Marx fu accolto a Parigi da Flocon, membro del governo provvisorio parigino. In una lettera di Flocon, a nome del popolo francese, indirizzata a Marx, si diceva: «Onesto e coraggioso Marx!…La tirannide vi ha cacciato, la Francia libera vi riapre le sue porte». Qui formò, sulla base dei pieni poteri ricevuti, un nuovo Comitato centrale della Lega dei comunisti, nel quale entrarono anche i capi del Comitato centrale londinese con il compito specifico di fare chiarezza tra gli operai ed emigrati tedeschi che sentivano l’avvicinarsi della rivoluzione in Germania ed anelavano il ritorno in patria. Compito quanto mai urgente poiché la Società democratica tedesca organizzata a Parigi sotto la guida del popolare poeta Herwegh e del giornalista Bornstedt, aveva iniziato a formare una legione militare tedesca con il proposito di suscitare in Germania la rivoluzione. In opposizione alla Società democratica sorse per iniziativa di Marx il Club degli operai tedeschi. Nelle riunioni successive Marx ed Engels intervennero contro l’avventuristica idea della «esportazione della rivoluzione». Ma mentre Marx ed Engels si contrapponevano decisamente a questo modo di giocare alla rivoluzione, che era divenuto del tutto insensato dopo le rivoluzioni di Parigi, Vienna, Berlino, nello stesso giorno del 18 marzo, essi si procuravano i mezzi materiali non solo per sostenere efficacemente la rivoluzione tedesca ma elaborarono una piattaforma teorico-politica «nell’interesse del proletariato tedesco, del ceto piccolo-borghese e contadino», passata alla storia come documento Rivendicazioni del partito comunista in Germania. Articolato in 17 punti tra cui spiccano la proclamazione dell’intera Germania a repubblica una e indivisibile, la nazionalizzazione dei possessi fondiari principeschi e delle altre terre feudali, delle miniere, delle cave, dei mezzi di trasporto terrestri e marittimi, l’istituzione di opifici nazionali, l’istruzione popolare generale e gratuita, lavoro per tutti gli operai e l’assistenza per gli inabili al lavoro, ecc., il documento conteneva anche e soprattutto le indicazioni di quale tattica politica seguire per la vittoria della rivoluzione democratica borghese, condizione preliminare per la successiva lotta per il socialismo.
Con la vittoria della controrivoluzione, a Vienna e a Berlino erano state poste le basi per la sconfitta della rivoluzione in tutta la Germania. Quel che ancora rimaneva delle conquiste rivoluzionarie era l’Assemblea Nazionale di Francoforte alla quale, Marx ed Engels, consigliarono un’azione decisa: di costituire un potere effettivamente rivoluzionario, di schierarsi apertamente dalla parte degli insorti, di chiamare ovunque il popolo a prendere le armi in difesa dell’Assemblea, di dichiarare fuori legge tutte le monarchie tedesche, i ministri e tutti gli altri controrivoluzionari, di attirare dalla propria parte i contadini con l’annullamento senza indennizzo dei vincoli feudali. Ma i ministri piccoli-borghesi rimasero sordi a questi consigli. Essa, infatti, fu sciolta con proclama reale, il 5 dicembre 1849. Anche la Neue Rheinische Zeitung, nata il 31 maggio1848 che, guidata dalla genialità di Marx, era l’unico giornale che aiutava le masse popolari ad orientarsi nel complesso labirinto della lotta rivoluzionaria non solo in Germania, ma anche in altri paesi europei, morì il 19 maggio 1849, data del suo ultimo numero stampato con inchiostro rosso, il colore della bandiera proletaria. Lenin considerò il giornale «il migliore, insuperato organo del proletariato rivoluzionario.». Il 23 agosto del ’49 Marx e sua moglie ricevettero l’ordine di lasciare Parigi entro 24 ore.
Già ai primi di settembre del 1850 Marx è a Londra, esiliato per la terza volta. Nell’ultima lettera che Marx mandò ad Egels da Parigi, gli comunicava di avere buone prospettive per fondare a Londra una rivista tedesca. Pregava Engels, che viveva esule in Svizzera, di venire subito a Londra, cosa che Engels fece nel più breve tempo possibile imbarcandosi a Genova su un veliero. Essi ritenevano che il compito più immediato del momento era nel tirare le somme della ricca esperienza delle rivoluzioni vissute. A prezzo di enormi difficoltà riuscirono ad organizzare ad Amburgo la stampa della rivista Neue Rheinische Zeitung Politisch-ökonomische Revue. I sei numeri della rivista usciti nel 1850 sono dei capolavori passati alla storia mondiale come esempi inarrivabili di applicazione del materialismo storico (cioè la spiegazione di un periodo storico colle condizioni economiche e sociali corrispondenti) alle rivoluzioni del 1848-49 in Francia ed in Germania. L’insostituibile valore del lavoro consiste nel fatto che in esso Marx, sulla base dell’esperienza francese e tedesca, arricchì la propria dottrina di fondamentali conclusioni teoriche. «Qui – dice Lenin – come sempre, la dottrina di Marx è il bilancio di un’esperienza, bilancio illuminato da una profonda concezione filosofica del mondo e da una vasta conoscenza della storia.». Nella primavera del 1850, Marx ebbe modo di riprendere gli studi economici degli ultimi dieci anni, che gli confermarono quanto lui aveva ricavato per induzione da materiali imperfetti: che la crisi del commercio mondiale nel 1847 era stata la madre delle rivoluzioni di febbraio e di marzo, e che la prosperità industriale, ricomparsa successivamente dopo la metà del 1848 e giunta al suo apogeo nel 1849 e 1850, era la forza vitale della reazione europea, nuovamente rinvigorita. In realtà, però, non era questa la sola causa delle sconfitte delle rivoluzioni, più volte sottolineata dallo stesso Marx: il tradimento dell’alleanza della borghesia democratica con la classe operaia, l’isolamento della classe operaia e l’alleanza momentanea della borghesia con tutte le altre classi in lotta. Il colpo di stato del 2 dicembre 1851 di Napoleone il piccolo, così ironicamente definito da Victor Hugo, Luigi Bonaparte, offrì a Marx l’occasione per la stesura di un’opera di fondamentale importanza: Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte. In quest’opera Marx esamina e spiega, in una luce nuova, i presupposti del colpo di Stato, e individua i successivi avvenimenti politici come logica conseguenza di tali presupposti. Marx indica così al movimento operaio un giusto metodo di valutazione della realtà storica e delle condizioni entro cui si svolge la lotta politica contemporanea, dimostrando che un avvenimento non può essere compreso finché lo si considera «un fulmine a ciel sereno», riconducibile alla «potenza di iniziativa personale» di un individuo, o magari (come il Croce ha concepito il fascismo) una parentesi di irrazionalità che temporaneamente ha interrotto il corso razionale degli avvenimenti. «Proudhon – dice Marx – cerca di rappresentare il colpo di Stato come il risultato di una precedente evoluzione storica; ma la ricostruzione storica del colpo di Stato si trasforma in lui in un’apologia storica dell’eroe del colpo di Stato. Egli cade così nell’errore dei nostri cosiddetti storici “oggettivi”. Io mostro, invece come in Francia la lotta di classe creò delle circostanze e una situazione che rendono possibile a un personaggio mediocre e grottesco di far la parte dell’eroe». Marx mette, inoltre, in evidenza l’essenza del bonapartismo e i suoi caratteri distintivi: il barcamenarsi tra le classi, la demagogia sociale, la corruzione, il ricatto. Riguardo al suo stile, Liebknect scrisse che in esso si univano «la sdegnosa austerità di Tacito, la carica satirica di Giovenale ed il sacro furore di Dante».
Il piano di una grande opera di economia politica che dovesse indagare a fondo il modo di produzione capitalistico era vecchio di circa quindici anni, quando Marx cominciò a eseguirlo praticamente. Dopo aver partecipato alle lotte degli anni della rivoluzione, Marx l’aveva subito ripreso e già il 2 aprile 1851 lo comunicò ad Engels con una lettera: «Sono tanto avanti che entro cinque settimane sarò pronto con tutta la merda economica. “Et cela fait”, porterò a termine a casa il lavoro sull’ “Economia”, e nel British Museum mi butterò su un’altra scienza. Questo commercio mi annoia. In fondo questa scienza da A. Smith e D. Ricardo in poi non ha più fatto progressi, per quanto molto si sia fatto in singole ricerche, spesso molte delicate». Tuttavia, per varie ragioni, Marx cominciò ad elaborare per iscritto un primo abbozzo, Per la critica dell’economia politica, negli anni 1857-58, un secondo abbozzo di tremila pagine negli anni 1861-63, e finalmente il 10 aprile del 1867 il manoscritto arrivò, per essere stampato, all’editore di Amburgo. Ma soltanto il 16 agosto, dopo le ultime correzioni, il volume vide la luce.
Il primo libro de Il Capitale è dedicato all’analisi del processo di produzione del capitale, alla trasformazione del denaro in capitale, della produzione del plusvalore relativo ed assoluto, del salario e del processo di accumulazione del capitale.
Nel primo capitolo Marx analizza il duplice carattere del lavoro: il lavoro del produttore di merci ha un duplice carattere. Da una parte esso è lavoro utile, che crea cose atte a soddisfare vari bisogni umani, «è una condizione d’esistenza dell’uomo indipendente da tutte le forme di società, è una necessità eterna della natura che ha la funzione di mediare il ricambio organico fra l’uomo e la natura, cioè la vita degli uomini». D’altra parte, il lavoro di ogni produttore di merci è una particella di tutto il lavoro sociale, l’impiego della forza-lavoro in generale, al di là delle sue forme concrete. Il primo aspetto del lavoro si chiama lavoro concreto, il secondo lavoro astratto. Quest’ultimo concetto è di quanto più complesso e sottile ci sia nei primi capitoli del primo libro, poiché da esso nasce il concetto di valore di una merce. Quando si scambia una data merce con altre merci in differenti proporzioni, ciò vuol dire che questa data merce ha molteplici valori di scambio e non uno solo. D’altra parte, poiché queste merci si scambiano tra di loro, deve pur esistere qualcosa di comune e della stessa grandezza. «Ma questo qualcosa di comune non può essere una qualità geometrica, fisica, chimica o altre qualità naturali delle merci. Le loro proprietà corporee si considerano, in genere, soltanto quanto le rendono utilizzabili, cioè le rendono valori d’uso. Ma se si prescinde dal valore d’uso dei corpi delle merci, rimane loro soltanto una qualità, quella di essere prodotti del lavoro umano. Tutte le qualità sensibili dei corpi delle merci sono cancellate. ……E’ rimasto solo un dispendio di forza lavorativa umana senza riguardo alla forma del suo dispendio. Questa forza lavorativa umana, come cristalli di questa sostanza sociale agglomeratasi nelle merci, costituisce il loro valore».
Riassumendo quanto di fondamentale e di decisivo vi è nel primo libro de Il Capitale, Marx stesso ce lo dice: «Ecco quanto vi è di meglio nel mio libro: 1) l’evidenziazione, fatta già nel primo capitolo, del duplice “carattere del lavoro”, esprimibile in valore d’uso ed in valore di scambio (e su questo si basa l’ “intera” comprensione dei fatti); 2) l’indagine sul “plusvalore indipendentemente dalle sue forme particolari”: profitto, percentuale, rendita terriera,ecc…». Dunque la merce è nel contempo depositaria di qualcosa di duplice: oggetti d’uso e depositari di valori. La grandezza del valore è poi misurata dal tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione di una data merce. Tutte le teorie economiche, venute dopo Marx, che hanno disconosciuto questa grande conquista del valore di scambio della merce, come ad esempio la teoria Marginalistica, sono miseramente fallite.
La scoperta del duplice carattere della merce ha consentito poi l’ulteriore passo avanti verso la scoperta del plusvalore, chiarendo la fondamentale contraddizione della produzione di merci, tra lavoro sociale e appropriazione privata del capitale, tra lavoro salariato e capitale. L’economia della scuola classica di A. Smith e D. Ricardo si rivelò incapace di spiegare la fonte di questo aumento di denaro rispetto alla somma iniziale anticipata dal capitalista, dato che nella fase di circolazione delle merci si scambiano tra loro valori uguali. Com’è possibile che il capitalista, possessore di denaro, compri delle merci al loro valore e le venda al loro valore e ricavi, tuttavia, più valore di quanto ne aveva impiegato? Ciò è possibile poiché negli attuali rapporti sociali il capitalista trova sul mercato una merce il cui uso è fonte di nuovo valore. Questa merce è la forza-lavoro dell’operaio. La geniale scoperta di Marx sta nell’aver dimostrato che il capitalista paga all’operaio non il valore del suo lavoro (come aveva sempre sostenuto l’economia politica borghese), ma soltanto il valore della sua forza-lavoro, cioè il salario, il cui compito è soltanto quello di assicurare i mezzi di sussistenza all’operaio e alla sua famiglia affinché non ci siano soluzioni di continuità e nella produzione e nell’accrescimento del capitale. Dunque, nel processo produttivo, l’operaio produce un valore maggiore della sua stessa forza-lavoro: un pluslavoro dal quale si ricava un pluvalore. Questo nuovo valore, non pagato agli operai, che va ad ingrossare ogni ora, ogni giorno, ogni settimana il capitale del capitalista, mantiene tutti i membri della società che non lavorano, e su di esso poggia l’intera struttura sociale nella quale viviamo.
Ne consegue che la giornata lavorativa dell’operaio si compone di due parti: una prima parte in cui l’operaio crea un valore pari al valore della sua forza-lavoro, cioè pari al suo salario; nella seconda parte della giornata lavorativa egli produce un valore supplementare, il plusvalore, di cui si appropria il capitalista. Marx chiama questa prima parte tempo di lavoro necessario e tempo di lavoro supplementare la seconda metà. Per definire scientificamente il grado di sfruttamento del lavoro dell’operaio, Marx è costretto ad analizzare più a fondo la composizione del capitale e scopre che esso si compone di due parti: il capitale costante che serve ad acquisire i mezzi di produzione, e il capitale variabile che serve per comprare la forza-lavoro degli operai. Quindi il grado di sfruttamento del lavoro si esprime come rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile. Se, per esempio, in una giornata di otto ore, quattro ore sono di lavoro necessario e quattro di lavoro supplementare, allora il saggio di plusvalore, o grado di sfruttamento dell’operaio, è del 100%. (Oggi, in Italia, da un calcolo approssimativo, forse per difetto, risulta essere del 400%, cioè in una giornata lavorativa di otto ore, l’operaio reintegra il valore del salario in 1,5 ore, mentre le restanti 6,5 ore lavora gratis per il capitalista).
Il secondo libro de Il Capitale è dedicato al movimento del capitale formato dal processo di produzione e dal processo di circolazione. Particolarmente importante risulta, nell’analisi del capitale in movimento, l’indagine di come la sfera della circolazione influisce sulla formazione del plusvalore. Nel corso della sua circolazione Marx dimostra che il capitale passa per tre stadi ed assume conseguentemente tre forme: monetaria, produttiva e capitale-merce. Nella natura stessa del capitale, che sempre tende ad accrescersi, è insita la necessità per cui esso è in continuo movimento ripetendo la sua rotazione. E’ nel processo della circolazione che il plusvalore si realizza.
Il terzo libro de Il Capitale è dedicato alla distribuzione del plusvalore tra i diversi gruppi capitalisti: il profitto tra gli industriali, l’interesse tra i finanzieri e la rendita fondiaria tra gli agrari. E’ grande merito di Marx l’aver chiarito le leggi del profitto medio e del prezzo di produzione della merce di fronte alle quali gli economisti borghesi si erano arrestati. Questa distribuzione del plusvalore tra i capitalisti industriali, commerciali e bancari non avviene pacificamente, ma è il risultato di una lotta feroce per l’investimento dei loro capitali nei settori che danno maggior saggio di profitto. Disuniti in questa lotta, ma uniti contro la classe operaia. In altre parole possiamo dire che se il contenuto del primo libro ci fa scoprire la fonte dell’arricchimento capitalistico nella fabbrica, nel secondo e terzo libro ci fa scoprire l’essenza delle banche, della borsa, degli affari finanziari, nella loro corsa per la divisione della preda, e, nel contempo, ci addentra nelle vere ragioni delle crisi periodiche del capitalismo.
Poco prima di morire Marx chiese alla figlia Eleonora di mandare i manoscritti de Il Capitale ad Engels che avrebbe dovuto «farne qualcosa». Separati in due parti, Engels fece uscire il secondo libro de Il Capitale il 5 maggio del 1885 nell’anniversario della nascita che, come lui stesso scrisse, non fu un lavoro facile. Il terzo libro vide la luce nel 1894 e richiese un lavoro ancora più difficile: occorreva dare veste organica a quelle sue parti che ancora si trovavano allo stato di abbozzo e dare una struttura al tutto. Dando un’alta valutazione del grande lavoro creativo svolto da Engels, Lenin scrisse: «…questi due volumi de “Il Capitale” sono opera di entrambi, di Marx e di Engels».
Il 14 marzo 1883, verso mezzogiorno, Karl Marx spirò placidamente nella sua poltrona. Nell’ultimo saluto che Engels rivolse all’amico morto disse:«….Marx era perciò l’uomo più odiato e calunniato del suo tempo. I governi, assoluti e repubblicani, lo espulsero, i borghesi, conservatori e democratici radicali, lo coprirono a gara di calunnie. Egli disdegnò tutte queste miserie, non prestò loro nessuna attenzione, e non rispose se non in caso di estrema necessità. E’ morto venerato, amato, rimpianto da milioni di compagni di lavoro rivoluzionari in Europa e in America, dalle miniere siberiane sino alla California. E posso aggiungere, senza timore: poteva avere molti avversari, ma nessun nemico personale. Il suo nome vivrà nei secoli, e così la sua opera!».
Teramo 15 maggio 2018