GRAMSCI: EGEMONIA E BLOCCO STORICO di Piero de Sanctis
Relazione tenuta a Pescara, presso la sala della CGIL il 19/05/2018, in occasione dell’ iniziativa di formazione sul pensiero gramsciano, organizzata dalla Fgci Abruzzo, dall’ANPI Pescara e dal Centro Gramsci di Educazione. Con la collaborazione del Pci Abruzzo.
Il tema che voi giovani avete scelto è tra i più difficili e complessi da trattare. Esso abbraccia la filosofia, l’economia e la politica. Con estrema sintesi possiamo dire che si tratta dell’unità tra la teoria e la pratica, del pensiero e dell’azione.
Unità perché la teoria non può vivere senza la pratica e, viceversa, la pratica è cieca senza la teoria. Come nella scienza della natura le nuove teorie scientifiche nascono sulla base delle scoperte sperimentali, di nuove forme di movimento della materia, così la scoperta di nuove leggi che governano lo sviluppo sociale, nascono dall’apparire sul palcoscenico della storia di nuove classi sociali e del movimento dei lavoratori.
La teoria dell’egemonia non è altro che il condensato dell’esperienza delle lotte del movimento operaio mondiale; essa è il portato naturale dello sviluppo storico umano.
Questa unità dialettica tra teoria e pratica – per Gramsci – si realizza nella lotta politica, in quanto questa oltre ad interpretare il mondo, lo trasforma. Ed è proprio questo nesso che consente a Gramsci di affermare che la teoria unita alla lotta per la realizzazione del dominio della classe operaia, per la costruzione di una nuova società, di una nuova struttura economica e di un nuovo orientamento culturale, costituisce l’essenza del concetto di egemonia. Senza questa unità, l’egemonia è impensabile.
Il concetto di egemonia non è dunque il parto della fantasia astratta di un pensatore, ma è la “summa” di tutte le esperienze delle rivoluzioni sociali, dal medioevo fino ai nostri giorni.
Da queste poche considerazioni iniziali, possiamo renderci conto che il concetto di egemonia ne coinvolge tantissimi altri: dalla complessa struttura economica della produzione dei beni materiali, alla sovrastruttura delle filosofie, della politica, della morale, dell’arte, ecc.
È stato Marx ad illuminare per la prima volta questi stretti e intrecciati rapporti tra la produzione materiale della vita degli uomini e le loro idee e la loro volontà, quando dice nel suo fondamentale lavoro Per la critica dell’economia politica: «Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza». Questa verità costituisce la base del materialismo storico: una nuova concezione del mondo prodotta dalle conquiste del moderno pensiero scientifico e filosofico da una parte, dallo sviluppo industriale e dalla classe operaia dall’altra.
Da ciò emerge che il tema dell’egemonia consiste nel saper intendere i processi reali, storicamente dati; nel saper individuare le forze sociali che possono e debbono essere coinvolte nel processo di rinnovamento della società; nel saper unire strati diversi attorno alla classe operaia realizzando una alleanza capace di isolare le forze della reazione capitalistica.
E precisando ancora meglio, Gramsci aggiunge che l’egemonia si realizza in quanto individua delle mediazioni, dei collegamenti con le altre forze sociali; trova dei rapporti, anche di cultura; stabilisce un contatto ed un confronto culturale e fa valere nel campo culturale le proprie posizioni, nella consapevolezza che la società non è fatta di scompartimenti stagni, ma come una totalità, in cui settori della vita politica, culturale e sociale si influenzano reciprocamente.
Un primo tentativo di concretizzazione del concetto di egemonia si ha quando il giornale L’Ordine Nuovo, diretto da Gramsci, organizza il movimento degli operai torinesi e l’occupazione delle fabbriche nel 1920. Nell’indicare le ragioni del fallimento di tale movimento, Gramsci non ha dubbi nel dire che la ragione fondamentale non solo risiede nella mancata estensione del movimento in tutta l’Italia, ma soprattutto è mancato l’elemento unificatore, cioè l’egemonia della classe operaia.
Un insegnamento che Gramsci ricorderà con le seguenti parole: «Il proletariato può diventare classe dirigente e dominante nella misura in cui riesce a creare un sistema di alleanze di classe che gli permetta di mobilitare contro il capitalismo e lo Stato borghese la maggioranza della popolazione lavoratrice, ciò che significa in Italia, nella misura in cui riesce ad ottenere il consenso delle larghe masse contadine».
Nell’individuare i tratti specifici della condizione storica concreta del meridione d’Italia, Gramsci capisce che è di fronte ad un grande blocco agrario reazionario costituito da tre strati sociali: la grande massa contadina, amorfa e disgregata, gli intellettuali della piccola e media borghesia rurale (il professore, il notaio, il medico, il farmacista, ecc.), i grandi proprietari terrieri e i grandi intellettuali.
I proprietari terrieri nel campo politico ed i grandi intellettuali nel campo ideologico centralizzano e dominano la vita politica e culturale del sud.
Per meglio illustrare come la borghesia dominante utilizza anche lei la nozione di egemonia e blocco-storico, Gramsci ricorre alla storia italiana a partire dall’Unità d’Italia. Benedetto Croce – dice Gramsci – ponendo la cultura italiana a contatto con quella europea, riesce a staccare il piccolo e medio intellettuale dal suo punto di riferimento, dalla base contadina da cui proviene. Lo immette in un tipo di cultura in cui è assente la voce dei contadini, la vita concreta dell’Italia, e particolarmente dell’Italia meridionale. Così il Croce compie una grande opera di egemonia, in senso conservatore e reazionario, e impedisce alla spinta contadina di attirare dalla propria parte gli intellettuali e di avere, quindi, negli intellettuali i propri quadri: quei quadri che solo possono dare omogeneità, direzione e coerenza all’azione contadina. Gramsci presenta già qui l’intellettuale come elaboratore dell’egemonia, come colui che garantisce il consenso alle forze dominanti, garantisce la base di massa, attraverso la persuasione e la educazione, alla classe dominante.
Noi non dobbiamo concepire l’egemonia soltanto come fatto politico, perché essa è anche un fatto culturale, morale e di concezione del mondo: Gramsci stesso aggiunge che un gruppo sociale deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo. L’egemonia avanza con l’affermarsi della capacità di direzione politica, ideale e morale della classe operaia.
Indicazioni preziose per noi che siamo impegnati a districarci nel groviglio della lotta di classe attuale e a lavorare sul piano culturale.
Uno dei contributi fondamentali, forse il più importante, che Gramsci da al concetto di egemonia è quello rivolto ad alcuni aspetti e momenti della crisi della società.
Marx ha chiarito fino in fondo le radici delle crisi periodiche del capitalismo e della sua struttura economica. Ma quando la sua struttura economica va in crisi, si ha un rivolgimento nella sovrastruttura. Gramsci analizza proprio questo processo di rivolgimento della sovrastruttura (che è contradditorio esattamente come la struttura), e ne illumina la complessità grazie all’attenzione che egli dedica al momento culturale, mai indagato così a fondo. Se è vero che la produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata all’attività materiale degli uomini e alle loro condizioni di vita e di lavoro, allora è anche vero – dice Gramsci – che i diversi momenti della sovrastruttura (le forme politiche della lotta di classe, le forme giuridiche, ecc.) esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle stesse lotte, determinandone forma e contenuto.
Nel corso di queste lotte la funzione degli intellettuali è essenziale poiché una egemonia si costruisce se essa ha i suoi intellettuali di riferimento, i suoi intellettuali organici.
Nei Quaderni del carcere Gramsci tratta ampiamente la funzione degli intellettuali, che non sono, come di solito si dipingono, un gruppo sociale autonomo, ma sono quelli che danno alla classe economicamente dominante la consapevolezza di se stessa e della propria funzione in campo sociale e in campo politico.
Questi sono gli insegnamenti che Gramsci ci lascia in eredità. Tocca a noi seguirli, renderli vivi e attuali e saperli attuare nella nostra battaglia per la costruzione di un forte partito della classe operaia italiana; nella consapevolezza che essa non può diventare autonoma e indipendente senza organizzazione, e non c’è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti.
Tuttavia dobbiamo oggi affermare, con molto rammarico, che le forze della sinistra italiana e i corrispondenti partiti hanno già da tempo imboccato strade che non vanno nella direzione indicata da Gramsci. Hanno preferito la divisione anziché l’unità, il particolare al posto del generale, le teorie borghesi e piccolo-borghesi anziché le teorie socialiste.
Prendere coscienza di questo fatto è già un passo avanti per riprendere il cammino interrotto e per rimetterci nella giusta strada. Questo è il compito che ci aspetta.